Change Management Process – Gli step da seguire per attuare con successo un processo di cambiamento

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“Non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare.” (Winston Churchill)

In un precedente articolo abbiamo affrontato la tematica del processo di gestione dei cambiamenti all’interno di un’impresa e la necessità di cambiare ed evolversi per riuscire a stare al passo con i tempi, mantenendo salda la propria presenza sul mercato.

Un’organizzazione è costantemente in evoluzione. Il cambiamento può essere causato dall’avvento di nuove tecnologie, innovazioni  di processo o di prodotto, oppure dal dover riorganizzare i servizi offerti alla clientela; in ogni caso, intervenire attivamente è necessario per la crescita e la redditività aziendale. É dunque fondamentale riuscire a gestire i cambiamenti in modo efficace cercando di ridurre al minimo, nella fase di transizione, l’impatto ”sconvolgente” sul team e sulle attività aziendali.

Step essenziali del change management process

Indipendentemente dalla tipologia di cambiamento perseguito, è necessario:

1. Porsi chiari obiettivi da raggiungere

Un processo di cambiamento non è quasi mai breve e indolore. Avere ben chiaro sin dall’inizio cosa effettivamente vada migliorato, ossia l’obiettivo finale del processo, è fondamentale. Ciò permette infatti di identificare e allocare le risorse, economiche e umane, necessarie al raggiungimento dello scopo.

2. Pianificare il change management process

Una roadmap che traccia il percorso da intraprendere con i vari step del change management fino al processo di cambiamentoraggiungimento dell’obiettivo è essenziale per poter procedere nelle lunghe fasi del percorso. Il processo di cambiamento deve avere degli step chiari e obiettivi intermedi misurabili per poter verificare l’effettivo avanzamento del processo.

3. Allocare le risorse finanziare e individuare il team 

Nell’ambito del processo di pianificazione, l’identificazione delle risorse e le fonti di finanziamento sono elementi cruciali. Potranno essere necessari nuovi strumenti software che richiederanno, oltre ad un investimento in termini finanziari, anche un impegno in termini di formazione. Ad esempio, si pensi all’implementazione di un nuovo software gestionale, sarà necessario prevedere delle sessioni formative per il personale che andrà ad utilizzare il nuovo software senza che ciò blocchi le normali attività aziendali.

4. Comunicare efficacemente

Identificare, pianificare, integrare ed eseguire un buon piano di gestione dei cambiamenti dipende da una comunicazione efficace. All’interno dell’impresa alcuni team sono già costituiti, il cambiamento può portare uno scombussolamento dei ruoli e delle mansioni e richiedere la formazione di nuovi gruppi di lavoro. Si dovrà far in modo di preparare i collaboratori in modo tale che il cambiamento non generi frustrazioni e incompresioni.

5. Gestire la resistenza,  i rischi di bilancio e riconoscere i meriti del team

Di fronte ad ogni cambiamento è fisiologico incontrare delle resistenze da processo di cambiamentoparte del personale e anche da parte dei vertici aziendali. Il cambiamento spaventa, da sempre si accompagna a nuove opportunità ma, d’altro canto, anche a insicurezza. La resistenza va superata cercando di anticipare il rischio ed essendo pronti ad affrontare eventuali eventi negativi che possano generarsi. Infine, il team, concluso il processo, deve vedersi riconosciuto i propri meriti in modo tale che i prossimi cambiamenti vengano accolti con meno resistenze e più entusiasmo.

 

Due Diligence nelle startup: gli elementi chiave su cui si concentrano gli investitori

due diligence startup

La prima fase di vita di una startup è caratterizzata da ingenti investimenti e bassi utili che vengono solitamente reinvestiti nella società. In questa fase è vitale riuscire ad ottenere finanziamenti a tassi agevolati e attrarre investitori, che prima di compiere le loro scelte di investimento daranno avvio alla fase di due diligence.

E’ difficile però per un’azienda neonata, che opera in settori altamente tecnologici e volatili riuscire ad ottenere finanziamenti attraverso i canali bancari, inoltre, i capitali ottenuti sono in genere concessi a tassi molto elevati. Riuscire ad attrarre investitori privati e istituzionali è vitale per le startup.

Se una startup è riuscita a catturare l’interesse degli investitori è già a buon punto, significa che l’idea imprenditoriale appare ai loro occhi, vincente. A questo punto parte la fase di due diligence nella quale l’investitore andrà ad approfondire nel dettaglio i dati aziendali, gli elementi essenziali e il contesto in cui opera l’impresa.

Spesso però per una startup non sussistono grandi dati su cui effettuare le analisi, pertanto la due diligence si esplica osservand0 le potenzialità e altri aspetti quali il team, il mercato di riferimento, l’innovazione che è capace di apportare e di conseguenza la sua scalabilità.

Quali sono gli elementi su cui l’investitore si focalizza durante la due diligence?

  • Le persone

    Elemento portante di una startup  è sicuramente il suo team, e soprattutto gli imprenditori che hanno dato vita all’impresa. Nelle startup innovative la qualità del capitale umano è molto elevata in quanto per essere classificate come tali le startup devono avere un team altamente professionale composto da laureati magistrali e dottori di ricerca.

    Agli occhi degli investitori è importante trovare un elemento di differenziazione che possa farli propendere per un’impresa anziché per un’altra, questo elemento in genere si identifica nella vision e nella motivazione dei fondatori.

  • L’oggetto dell’attività d’impresa e il mercato

    Il prodotto servizio su cui la startup decide di incentrare la sua attività, essendo l’elemento grazie al quale l’impresa  genererà utili è uno dei punti chiave su cui concentrare le analisi.

    Il prodotto riesce a piazzarsi bene sul mercato? Come si colloca rispetto ai competitors? E’ un prodotto/servizio che non esiste ancora sulla piazza e nell’eventualità il mercato è pronto per accoglierlo? Sono tutte domande che guidano gli investitori nella loro analisi rischio/beneficio.

    Bisogna capire se ci sono potenzialità di crescita ossia se la startup sia scalabile. Il modello di business  scelto dall’impresa consente di valutare lo sviluppo raggiunto dalla startup utilizzando  come indicatore il suo tasso di crescita mensile valutando ad esempio numero differenziale di clienti acquisiti.

  • Strategie di exit

    Le startup reinvestendo la maggior parte degli utili nell’impresa lasciano poco guadagno agli investitori, che mantenendo l’investimento nel lungo periodo puntano ad ottenere il loro ritorno economico grazie al tasso di crescita dell’azienda.

    Considerata però la volatilità dei mercati  del contesto economico in cui si collocano le startup, non si può essere certi che effettivamente questa crescita ci sarà e qualora l’investitore voglia dismettere in tempo il proprio investimento deve poterlo fare.

    L’exit rappresenta l’unica alternativa per monetizzare il proprio investimento nell’immediato, vincoli troppo stringenti che impongono all’investitore di mantenere il proprio investimento lo spingono verso altri progetti aziendali.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Antifragile: la capacità di reagire agli eventi negativi e uscirne rafforzati

antifragile superare gli ostacoli

antifragile superare gli ostacoli

Prevedere le crisi finanziarie e dei mercati, paradossalmente, non è il miglior modo per affrontarle e superarle. E’ necessario costruire dei sistemi che possano resistere agli impatti negativi permettendo alle imprese di uscirne rafforzate. Evitare di commettere errori? Sarebbe idilliaco ma gli errori si commettono ed è fondamentale imparare la lezione e crescere.

”In principio era il caos”…
Dall’origine del mondo abbiamo imparato che il disordine è fonte di vita, scoperte e innovazioni. Un mondo, in senso economico e non, troppo regolamentato e eccessivamente controllato è stagnante, immobile e in quanto inelastico più a rischio nel momento in cui si incorra in situazioni di crisi.

Cosa significa ”antifragile”?

Il termine ”antifragile”, coniato dal matematico, filosofo e saggista Nassim Nicholas Taleb, è stato creato per definire l’esatto opposto di ”fragile”. Esistono altri termini che si potrebbero utilizzare per definire lo stesso concetto, così sembrerebbe…

In realtà antifragile sta ad indicare un qualcosa in più rispetto a ciò che definiscono altri termini quali ad esempio robusto, resistente, infrangibile. Questi ultimi termini stanno ad indicare la proprietà di resistere a eventi dannosi, la facoltà di reggere ai colpi e alle crisi. Essere antifragile permette non solo di ”sopravvivere” agli shock e attacchi esterni ma addirittura uscirne migliorati.

L’antifragilità pertanto va a definire tutte quegli oggetti, situazioni, sistemi e imprese che riescono a beneficiare di elementi che generalmente vengono visti come eventi e fattori negativi.

Una struttura organizzativa all’interno di un’impresa che riesce a trarre beneficio dall’aleatorietà, dagli eventi improvvisi e dal caos riesce a fare dell’incertezza un punto di forza in un sistema economico dove la maggior parte degli operatori è avverso al rischio e cerca di lottare contro la volatilità del mercato anziché sfruttarla.

Strutture complesse e fortemente regolamentate, che siano i sistemi economici e/o politici e al loro interno le imprese, diminuiscono la loro forza e resilienza all’aumentare delle regole imposte dall’alto. Ogni intervento esterno volto a infoltire la regolamentazione per gestire l’imprevisto, porta all’introduzione di nuove regole che sperano di  sistemare le conseguenze inaspettate generate dall’evento inatteso, determinando un effetto domino di situazioni non programmate a cui far fronte.

In alcuni casi si dovrebbe permettere ai sistemi di riequilibrarsi secondo un ordine naturale delle cose.

Il pensiero di Taleb, applicato in contesti che spaziano dalla gestione d’impresa all’economia passando per la società, definisce il  comportamento ”fragile” produttivo di interventi  artificiali che apportano vantaggi irrisori e numerosi effetti collaterali, impercettibili ma potenzialmente distruttivi.

Per rendere il concetto più fluido, facciamo un esempio rapportato alla vita quotidiana. Curare un raffreddore con un’aspirina può apportare un beneficio immediato e visibile, l’aspirina però è potenzialmente foriera di numerosi effetti collaterali che qualora si presentassero annullerebbero del tutto il beneficio ottenuto dalla sua assunzione causando altri problemi che necessiterebbero un ulteriore intervento medico. Permettere al corpo di recuperare in modo naturale secondo i suoi tempi avrebbe evitato di incorrere in tali inconvenienti. Così come nell’esempio, la volontà di ”riparare” con interventi esterni e macchinosi il sistema impresa, finisce col causarne la rottura.

Gli interventi dall’alto, risultano avere un impatto negativo sul sistema economico che per essere antifragile deve paradossalmente essere composto da unità potenzialmente fragili. Se l’impresa non è in grado di rigenerarsi deve poter fallire, dando un segnale di ciò che non funziona.

I salvataggi statali innescano un circolo vizioso tenendo in vita quelle imprese, troppo grandi per poter fallire per i danni che causerebbero sull’occupazione, ma che in realtà assorbono fondi pubblici non essendo stati in grado di autogestirsi e che ricadono sulla collettività.

 

 

L’importanza di un team cross-funzionale nelle strategie di prodotto e marketing

team cross funzionale

Quando le aree di un’azienda non comunicano tra di loro si rischia di incorrere in danni notevoli per l’impresa, che si riflettono anche sul cliente. L’effetto silos è assolutamente da evitare. La soluzione ottimale e creare un team cross-funzionale.

Una struttura organizzativa che relega i membri del proprio team in aree separate e indipendenti rischia di compromettere la comunicazione e la collaborazione tra le risorse dell’impresa.

Un’azienda è un sistema, e come tale, vive di diversi elementi che si combinano e si storage silosincastrano al fine di raggiungere gli obiettivi aziendali. Affinché il sistema possa  funzionare bene, è necessario cooperare e favorire un’idonea comunicazione per il corretto passaggio delle informazioni.

Stoccare le competenze dei propri collaboratori in silos a sé stanti non permette l’evoluzione del proprio team e la nascita di sinergie che possono rendere l’impresa competitiva in mercati, oggi, sempre più complessi e all’avanguardia.

Per quanto una strategia di prodotto o di marketing possa essere ben strutturata, affinché la sua realizzazione possa risultare vincente, è necessario creare un gruppo di lavoro multifunzionale.

Che cos’è un team cross-funzionale?

Un team cross-funzionale è composto da persone che svolgono diverse funzioni all’interno dell’impresa, provengono infatti dalle diverse aree aziendali. Comporre un team multifunzione permette di unire competenze trasversali, riuscendo così a individuare in modo più efficiente la soluzione ad un problema oppure formulare proposte innovative in merito a sviluppi futuri dell’azienda.

Ogni componente del gruppo di lavoro, nella sua area abituale, avrà competenze specifiche che metterà a frutto nel team al fine di realizzare un progetto o sviluppare un prodotto. In questo modo si avranno a disposizione specialisti per ogni determinata funzione che collaborando insieme apporteranno valore aggiunto al gruppo.

Un’impresa può optare per diversi approcci alla metodologia del team cross-funzionale. Un primo approccio consiste nel ‘prendere in prestito’ dai diversi reparti i membri selezionati invitandoli a lavorare nel team multifunzione, una volta che i collaboratori hanno apportato il loro contributo ritorneranno a rivestire il loro ruolo nella propria area funzionale.

Un approccio alternativo consiste invece nel frazionare la giornata lavorativa in momenti prestabiliti e fissi. Ad esempio, la mattina il collaboratore si occuperà delle sue mansioni tradizionali e nel pomeriggio, al rientro dalla pausa pranzo, si dedicherà al progetto e al lavoro in team con i colleghi delle altre aree.

connectSia nel primo che nel secondo caso, in pratica, è come se si venisse a creare un’ulteriore area funzionale, che riesce a fungere da cuscinetto e anello di congiunzione tra i diversi reparti, favorendo il flusso informativo e creando un legame diretto tra le aree che converge infine nel gruppo di lavoro.

Rompere la struttura ”a silos” e creare un team cross-funzionale permette una maggiore adattabilità ai cambiamenti del mercato e la conseguente risposta repentina di fronte a eventuali criticità sorte. All’interno di un team multifunzione si sviluppa coesione, basata sul rispetto reciproco, la collaborazione e il riconoscimento del contributo in specializzazione apportato da ognuno.

 

 

 

  

Il ruolo della struttura organizzativa per lo sviluppo dell’innovazione

schema di struttura organizzativa

struttura organizzativa innovazione

Creare valore in un contesto altamente innovativo rappresenta un’ardua sfida per il management aziendale. La struttura organizzativa riveste un ruolo di fondamentale importanza.

La struttura organizzativa dell’impresa, nell’ottica delle dimensioni e dell’organizzazione interna riveste un ruolo primario nello sviluppo innovativo, in quanto essendo un elemento cardine e duraturo nella vita aziendale ogni decisione va ponderata tenendo conto dell’evoluzione futura.

I cambiamenti che l’impresa, a seguito di processi innovativi, si troverà ad affrontare si rifletteranno su ogni funzione aziendale, dunque, tanto più flessibile sarà l’organizzazione interna dell’azienda tanto più sarà agevole rispondere e adattarsi al cambiamento.

Nelle decisioni prese in merito alla struttura organizzativa si deve valutare anche l’ambiente esterno in cui l’impresa opera,  i competitors presenti sul mercato e le preferenze della clientela, tutti questi elementi possono favorire o osteggiare un processo di innovazione e gli obiettivi che l’azienda si pone.

L’organizzazione interna, essendo un elemento strutturale, sarà presente nel lungo periodo nella vita dell’impresa e se creata in modo rigido l’investimento sarà irreversibile o modificabile ad alti costi.

Qual è l’organizzazione ottimale che un’azienda operante in un contesto innovativo può e deve assumere?

Tom Burns e G.M. Stalker, studiosi e sociologi, classificarono nel loro trattato ‘‘The management of innovation” i modelli organizzativi.

Ai due estremi troviamo il ”modello meccanico” e il ”modello organico”, il primo adatto ai contesti a basso tasso di innovazione mentre il secondo idoneo per i settori più complessi, competitivi e innovativi. Ovviamente, tra i due poli vi sono diversi livelli intermedi in cui l’azienda ha libertà di definire la propria struttura organizzativa.

struttura organizzativa rigidaIl modello meccanico, si presenta con una struttura alquanto rigida, può funzionare in un contesto stabile dove vigono procedure standardizzate e definite, e dove è presente una netta linea gerarchica dove i vertici si occupano del controllo e ai dipendenti è lasciato il mero ruolo esecutivo.

Che una struttura di questo tipo sia incompatibile con l’innovazione è palese, in quanto vengono meno gli elementi essenziali che rendono possibile il processo innovativo.

Non c’è infatti interazione collaborativa tra i vari livelli funzionali e i dipendenti vengono considerati come semplici esecutori, qualora avessero delle intuizioni e delle idee migliorative in merito ai processi aziendali e ai prodotti, la struttura organizzativa non prevede la loro collaborazione sotto questi aspetti. La comunicazione avviene dalla ”cima” al ”fondo” dell’organizzazione e il viceversa non riguarda l’ambito decisionale ma solo informativo.

SviluppoStrategico è una nuova metodologia per promuovere Innovazione

Un sistema organico, invece, è flessibile e di conseguenza più idoneo a essere utilizzato in contesti modello organico flessibilealtamente innovativi, caratterizzati da un’elevata concorrenza e in continua evoluzione. In questo modello, sono i dipendenti che hanno potere e controllo decisionale piuttosto che i vertici aziendali, essendo i primi  che tutti i giorni si scontrano quotidianamente con le problematiche aziendali e in un ambito caratterizzato dalla velocità di cambiamento riescono a reagire e a rispondere prontamente alle mutazioni del contesto in cui l’impresa opera.

A livello comunicativo, l’informazione si muove orizzontalmente permettendo la condivisione a tutti i livelli funzionali.

Ogni dipendente è capace di osservare il quadro completo aziendale e ciò permette una reazione immediata agli imprevisti che potrebbero presentarsi.

La rigidità delle procedure e degli schemi gerarchici del modello meccanico viene meno e l’organizzazione nel suo complesso diviene più agile.

Il (mancato) coraggio di innovare: il caso Kodak

innovare, macchina fotografica vecchio tipo Kodak

La flessibilità organizzativa è al servizio dell’innovazione, il mercato non perdona le aziende che non fanno proprio questo dogma. E’ necessario avere il coraggio di innovare.

 

”… E debbasi considerare come non è cosa più difficile a trattare, né più dubbia a riuscire, né più pericolosa a maneggiare, che farsi capo ad introdurre nuovi ordini. Perché lo introduttore ha per nimici tutti quelli che delli ordini vecchi fanno bene, et ha tepidi defensori tutti quelli che delli ordini nuovi farebbono bene. La quale tepidezza nasce, parte per paura delli avversari, che hanno le leggi dal canto loro, parte dalla incredulità delli uomini; li quali non credano in verità le cose nuove, se non ne veggono nata una ferma esperienza. Donde nasce che qualunque volta quelli che sono nimici hanno occasione di assaltare, lo fanno partigianamente, e quelli altri defendano tepidamente; in modo che insieme con loro si periclita.”  (N.Machiavelli)

Innovare fa paura. Stravolgere l’organizzazione esistente all’interno dell’azienda per lanciarsi in nuovi mercati è una sfida che non tutte le imprese si sentono di affrontare, purtroppo, però, per la vita delle aziende chiudere le porte in faccia all’innovazione significa fallimento. Solo l’innovazione, infatti, può garantire un vantaggio competitivo, duraturo nel tempo, e mantenere in vita  profittabilmente l’azienda.

Per innovare è necessario avere coraggio, il coraggio che è mancato a Kodak è stato l’inizio della fine per il colosso dei rullini. I bambini rullini kodak coraggio di innovaredegli anni ’80, ricorderanno il famoso ”ciribiribì kodak” dello spot televisivo che pubblicizzava i prodotti di punta, pellicole e carta fotografica, dell’azienda.

Kodak, un’azienda che da più di cent’anni lavorava nel mercato delle pellicole con un fatturato vertiginoso, era riuscita a rendere la fotografia alla portata di tutti, era entrata  nelle case e nei cuori dei propri clienti permettendogli di immortalare i loro momenti più belli. Kodak fu travolta dall’evoluzione tecnologica dell’era digitale, i vertici aziendali non furono in grado di riconoscere la portata del fenomeno e quando un progettista del proprio team propose il prototipo di una macchina fotografica digitale l’idea venne bocciata. La risposta di Kodak fu: “Chi vorrà mai guardare le sue foto sullo schermo di una tv?”.

Un grosso errore che le è costato l’uscita dal mercato con l’avvio dell’amministrazione controllata nel 2012. Kodak, il colosso della pellicola, si è dimostrata sorda all’innovazione, non ha ascoltato le idee dei propri collaboratori e si è chiusa in una ostinazione che l’ha portata al fallimento. Kodak non ha capito che il suo business era fatto di persone e non di pellicole…avrebbe potuto continuare a vivere come azienda e fatturare se solo avesse intuito che avrebbe tranquillamente potuto continuare a catturare le emozioni delle persone anche senza l’ausilio di un prodotto ormai superato.

 

Come evitare di commettere gli errori che sono stati fatali a Kodak?

  1. L’organizzazione aziendale deve assecondare l’idea innovativa, anticipare il mercato quando possibile, e l’ingegnere che propose il prodotto  a Kodak lo aveva fatto, era in netto anticipo rispetto alla concorrenza…
  2. Avere il coraggio di cambiare e combattere le opposizioni che puntualmente ci sono quando si cerca di innovare.
  3. Il Management non deve essere cieco e sordo alle proposte del team.
  4. L’organizzazione aziendale deve essere in grado di gestire la creatività e l’innovazione e di guardare a questo processo in merito a ritorni economici nel lungo periodo.
  5. Tenere sotto controllo la propria avversione al rischio, il noto detto recita ”chi non risica non rosica” …niente di più vero, sicuramente è necessario valutare il rischio e il costo-opportunità, senza rischiare però è impossibile innovare.

 

 

 

 

Tecniche e rilevanza del Fast Prototyping

Fast prototyping la svolta nella prototipazione per le aziende innovative

Fin dai tempi antichi, l’ingegno e la progettazione da parte di inventori e disegnatori si è servita di un piano bidimensionale per rappresentare, valutare e comunicare all’esterno le proprie idee prima di realizzarle. Nonostante i pochi mezzi a disposizione che avevano nell’antichità, dove compasso e pergamena erano gli unici strumenti, gli inventori del passato sono riusciti a realizzare opere fantastiche sicché non si riesce neanche ad immaginare cosa avrebbero potuto ottenere avendo ausili più evoluti come quelli contemporanei!
Per quanto si potesse essere accurati, il progettista che lavora su due dimensioni non ha mai la certezza assoluta che ciò che realizzerà sarà fedele all’idea originale, non riesce a vedere la propria creazione se non dopo un lungo lavoro per passare dal disegno alla realizzazione pratica.

Il fast prototyping permette di oltrepassare la barriera posta dal piano bidimensionale e permette di trasformare un ”disegno” in un oggetto solido che è possibile toccare con mano.

Quando la prototipazione rapida è giunta all’orecchio dei comuni mortali, in realtà, aveva fatto il suo ingresso negli ambienti scientifici e industriali già molto tempo prima. In una puntata della nota serie televisiva Grey’s Anatomy due delle protagoniste principali si contendevano l’uso di una stampante 3D da utilizzare per creare vasi sanguigni artificiali. La finzione televisiva non è poi così lontana dalla realtà e quella puntata aprì gli occhi sull’evoluzione tecnologica  a cui siamo giunti al grande pubblico.

Come funziona il fast prototyping?

Partiamo col fornire una definizione un po’ più formale del fast prototyping…

Il fast prototyping o rapid prototyping è una tecnologia mediante la quale è possibile produrre oggetti in 3D  in tempi di gran lunga minori rispetto ai metodi tradizionali manuali. In termini di tempo parliamo di giorni/ore rispetto a settimane/mesi necessari con le vecchie metodologie. La creazione degli oggetti avviene mediante l’utilizzo di sistemi CAD da cui si parte per  la costruzione dei modelli fisici  3D,  attraverso uno sviluppo strato dopo strato.

Il pioniere di questa tecnologia fu Charles W. Hull nel 1982 con la 3D System Inc. che creò il primo apparato per la stereolitografia, la SLA-1. Numerosi studi e ricerche sono state condotte nel tempo e hanno portato allo sviluppo di tecnologie più innovative (SLS – Selective laser sintering; FDM – Fused deposition modelling; LOM – Laminated object manufacturing).

Le nuove tecnologie sviluppate hanno destato molto interesse e stupore e negli anni sono state sempre più migliorate riducendo i tempi di lavorazione, ottenendo finiture migliori degli oggetti realizzati e resistenza dei prototipi. Al giorno d’oggi seppur il fast prototyping non è applicabile a tutti gli ambiti e presenta ancora dei limiti, siamo ad un punto in cui le macchine sono di facile utilizzo, rapide e garantiscono prototipi ottimali in termini qualitativi e di precisione. Ciò permette alle aziende industriali di ottenere un beneficio notevole, in un mercato che si sviluppa molto velocemente disporre di questa tecnologia è estremamente importante per le imprese.

Dove può essere utilizzato il fast prototyping e i suoi benefici

La naturale collocazione di questo metodo di prototipazione è in contesti industriali, presso aziende di design, automotive, elettrodomestici e anche in area sanitaria ad esempio nell’odontotecnica o l’ortopedia, ma gli ambiti di applicazione sono illimitati. I prototipi possono essere utilizzati per i test di design e di resistenza, con la tecnica del fast prototyping è possibile avere modelli in meno tempo rispetto ai concorrenti e anticipare l’uscita sul mercato di un nuovo prodotto e con minori costi.

 

 

Lavoro agile: smart working amico della flessibilità

Un congruo compromesso tra lavoro e vita privata esiste? Si, lo smart working!

Le nuove tecnologie, già a partire dagli anni ’70, hanno consentito e favorito lo sviluppo del telelavoro, inteso come prestazione lavorativa fornita da un luogo diverso dalla sede aziendale, di norma corrispondente al domicilio del lavoratore. Da un po’ di anni a questa parte una nuova terminologia sta prendendo piede: lo smart working.  Di cosa si tratta in realtà? Coincide forse con l’ormai noto telelavoro e ad essere diverso è solo il nome che gli si da? Non esattamente…

Lo smart working rappresenta l’evoluzione concettuale del telelavoro. Recentemente regolamentato, lo smart working nasce con lo scopo di incrementare la competitività e conciliare in modo ottimale vita privata  e lavorativa del dipendente. Si realizza tramite accordo contrattuale tra le parti che ne definiscono modi e tempi di attuazione, il monte ore necessario e l’orario di lavoro. A differenza del telelavoro che prevede quale sede dove effettuare la prestazione lavorativa l’abitazione del lavoratore, lo smart working non prevede una postazione fissa. Il lavoratore può svolgere le sue mansioni ovunque egli voglia entro i limiti orari della sua giornata lavorativa così come concordato tra le parti e nel rispetto dei dettami dei contratti collettivi nazionali.

La regolamentazione dello smart working ha inoltre  introdotto il ”diritto alla disconnessione”, l’accordo scritto tra le parti deve prevedere infatti anche i tempi di riposo del lavoratore, e la struttura organizzativa e tecnica deve essere predisposta affinché possa permettere al lavoratore di disconnettersi in sicurezza. 

Per quanto riguarda il corrispettivo, è previsto che  lo smart worker abbia diritto  allo stesso trattamento economico dei lavoratori che prestano il proprio lavoro in sede.  Per i primi, però, svolgendo la loro prestazione al di fuori dei locali aziendali le modalità di esecuzione delle mansioni sono diverse come diverse sono le sanzioni disciplinari in caso di condotte differenti da quelle previste per ogni categoria di lavoratore.

 

Seppur per l’azienda lo smart worker implica l’investimento in strumenti per la comunicazione e la collaborazione, oltre a uno stipendio pari a quello percepito dai lavoratori in sede, sussistono delle utilità non indifferenti. L’azienda infatti riesce  a ridurre i costi dei luoghi fisici proporzionalmente al numero di dipendenti che lavorano in formula smart working. Inoltre, da alcune indagini effettuate mediamente gli smart workers tendono a lavorare più ore rispetto ai colleghi in sede. Più che portarsi il lavoro a casa, gli smart workers portano la casa a lavoro e questo ha un doppio effetto. Se il lavorare da casa li spinge a lavorare di più per dimostrare che riescono a lavorare bene e di meglio rispetto ai lavoratori in sede, il loro maggior sforzo è premiato dall’essere a casa, ma non solo, possono infatti lavorare seduti su una panchina in un parco, in un internet cafè  o dove meglio aggrada al lavoratore ottenendo così un notevole incremento della qualità della vita e non dimentichiamo che evitano in questo modo l’ansia, di Fantozziana memoria, di non riuscire a timbrare il cartellino in tempo e non perdere il tram o la metro affollatissima!

Dividi e comanda o unisci e vinci? Divide et impera nemico dell’innovazione

Innovazione, una scacchiera

Permetti alla tua azienda di lanciare segnali positivi all’esterno, coinvolgi i tuoi collaboratori nella gestione aziendale, valuta le loro idee in ottica innovazione

Dalle origini della storia dell’uomo, seminare zizzania è stata una tattica molto adoperata e vincente per ”dividere” i nemici, indebolirli, e riuscire così ad ottenere il comando. Se sul campo di battaglia, il divide et impera era una strategia che poteva funzionare la stessa cosa non si può dire per le imprese. I collaboratori in azienda non sono nemici ma giocatori di una stessa squadra con fini comuni, sono alleati necessari per raggiungere gli obiettivi aziendali.

La prima immagine che un’azienda da di sé è data, ad esempio, da come i dipendenti rispondono al telefono, da come accolgono i clienti all’ingresso, dalle relazioni tra management e subordinati e tra colleghi allo stesso livello. Per un cliente, un fornitore o un potenziale partner non è difficile leggere sul volto della forza lavoro dell’azienda se il clima è teso o, al contrario, rilassato e collaborativo. E’ facile percepire se il lavoratore svolge la sua funzione in modo apatico oppure con passione e interesse, ovviamente, nel primo caso l’azienda non fa una bella impressione e ispira anche poca fiducia.

Se capita poi, addirittura, di assistere a scene poco piacevoli, ad esempio confronti ”accesi” tra manager e collaboratori, l’immagine aziendale ne esce sconfitta. Pensiamo a quando capita di prendere un caffè al bar e sentire il titolare che tratta male il personale, quel bar, per quanto possa offrire un buon caffè, difficilmente ci vedrà ancora come suoi clienti.

Autorevoli sì, autoritari anche no

Manager e imprenditori, in quanto leader, devono liberarsi di schemi relazionali formali appresi e utilizzati per

consuetudine, divide et impera serve solo a ribadire il concetto del ”qui comando io”, inutile e, in parte, dannoso. Tali schemi focalizzano l’attenzione sull’autorità, in realtà un manager deve essere un mentore autorevole e non autoritario, puntare alla leadership, alla crescita e all’innovazione piuttosto che al mero controllo e al comando.

Il leader infatti deve essere una guida carismatica, un esempio per i propri collaboratori, accogliere idee ed essere giusto nel valutarle altrimenti se il clima è teso non ci si potrà mai evolvere. Il manager deve essere dotato oltre che di capacità professionali anche di intelligenza emotiva, deve saper parlare con la gente e non alla gente, captare segnali, idee e implementarle premiando chi le ha generate.

La strategia del divide et impera, all’insegna della repressione e della supremazia finisce col creare un clima di tensione. Il confronto non è costruttivo, infatti, l’obiettivo non è confrontarsi per realizzare la strategia migliore ma è semplicemente un gioco di ruoli, si mira a ”spuntarla”, a far prevalere la propria idea per una questione di orgoglio e non per la sua validità.

La competitività tra i membri non è salutare, è una lotta dove ognuno corre per se e non in un’ottica di sviluppo aziendale. Pertanto è auspicabile cercare, a partire dai vertici aziendali, di creare un clima in cui il confronto sia valido e funzionale agli interessi dell’intero sistema impresa e non del singolo collaboratore, ogni idea è importante e va valutata e se è valida va attuata. Solo così si può avviare un processo di innovazione, partendo dalle relazioni all’interno dell’organizzazione aziendale.

Business Model Canvas: come cambia la pianificazione strategica d’impresa

Business model, laptop con canvas sullo sfondo

Dalle origini dell’economia moderna abbiamo sempre sentito parlare di business plan, inteso quale documento di sintesi capace di definire sotto l’aspetto economico-finanziario il progetto imprenditoriale. Il termine business plan è ormai acquisito tant’è che ci suona familiare, da un po’ di tempo a questa  parte però  nei contesti aziendali si sente parlare sempre più spesso di business model. A questo punto, viene da chiedersi, si usano terminologie diverse per definire la stessa pratica aziendale dando al vecchio caro business plan un tocco di modernità oppure stiamo parlando di un qualcosa concettualmente diverso e differente anche sotto l’aspetto dell’attuazione?

Per rispondere a questa domanda, partiamo col definire cos’è un business model attraverso le parole dell’ideatore del Business Model Canvas , Alexander Osterwalder:

“Il Business Model descrive la logica con la quale un’organizzazione crea, distribuisce e cattura valore.”

Pur avendo elementi in comune e scopi parzialmente condivisi, notiamo subito che a differenza del business plan il business model si focalizza sulla creazione e distribuzione del valore aziendale, descrivendo l’attività aziendale svolta a tali fini attraverso un approccio logico e intuitivo. Attraverso il secondo un’azienda mostra il suo modo di fare impresa, la sua offerta produttiva e le relazioni che tesse con fornitori e clienti, con lo scopo ultimo di massimizzazione del valore.

Man mano che viene ampliata la  definizione di business model è palese che ci si allontana sempre di più dal termine business plan, quest’ultimo, in sostanza, evidenzia l’idea imprenditoriale, i tempi e le risorse finanziarie necessarie per realizzare il business model che invece si focalizza sulla pianificazione strategica. Il business plan  ”quantifica” la strategia esposta nel business model.

Definendo cos’è un business model, abbiamo introdotto e aggiunto anche il termine ”Canvas”. Il business model canvas non è altro che uno strumento strategico che si avvale di uno schema  grafico, molto utile per perferzionare il modello di business presente in azienda o svilupparne di nuovi.

Il business model canvas sfrutta la logica del visual thinking, permettendo di dipingere sulla tela concetti aziendali complessi rendendoli semplici attraverso l’ausilio grafico.


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Perché limitarsi al design dei prodotti quando applicandolo al business si riesce a presentare in modo facile e intuitivo la propria strategia aziendale. Del resto, anche gli architetti nella progettazione di una struttura prima di elaborarla in CAD partono da uno schizzo su carta. Avere uno schema visivo,  ordinato e funzionale,  permette una revisione veloce e il confronto immediato di idee con tutti gli attori del progetto.

Come è fatto un business model canvas

Il business model canvas si basa su nove blocchi visuali che sintetizzano tutti i punti chiave del processo strategico:

  1. Customer Segments, il target di clientela a cui l’impresa si rivolge;
  2. Value Proposition, la proposta di valore per ogni segmento;
  3. Channels, i canali per mezzo dei quali raggiungere il cliente;
  4. Customer Relationships, le relazioni che si instaurano con il cliente;
  5. Revenue Streams, i flussi di ricavi generati;
  6. Key Resources, le risorse chiave su cui far leva;
  7. Key Activities, le attività chiave per creare valore;
  8. Key Partners, i partners chiave di cui l’azienda intende avvalersi;
  9. Cost Structure, la struttura dei costi per i modello di business;

 

Avvalersi del Business Model Canvas è per l’impresa come un aggiornamento del sistema operativo è per un computer. Permette di essere più veloci ed efficienti stando al passo con l’innovazione,  proteggersi da nuove minacce provenienti dall’esterno, ad esempio nuovi competitors, individuare nuovi possibili clienti, canali per raggiungerli e aumentare le ”prestazioni” aziendali, ottenendo un maggior valore complessivo.