I benefici dell’apprendimento cooperativo all’interno del team

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Il sapere in passato era detenuto da pochi e utilizzato per raggiungere posizioni di potere all’interno della comunità . Oggi, in ambito aziendale i membri del team hanno tutti delle conoscenze e competenze valide, spesso però, tra i vai membri si innescano dei meccanismi di chiusura che danneggiano l’impresa. La soluzione è un approccio cooperativo all’interno del proprio team.

Sin dalla prima infanzia ai bambini viene insegnato ad essere altruisti e a collaborare con gli altri, da adolescenti si continua a mettere in pratica l’insegnamento facendo squadra, ma poi si approda all’università dove fa capolino la competizione, la voglia di distinguersi e spiccare. La sindrome del primo della classe, in un contesto universitario dove non ci si confronta più con venti allievi ma con aule di trecento persone, comincia a mostrare i suoi effetti che si enfatizzano poi nei colloqui di gruppo e sul posto di lavoro.

Anche all’università, attraverso i progetti,  e in alcuni particolari colloqui si invita lo studente/candidato ad approcciarsi in modo cooperativo con gli altri al fine di formarlo e prepararlo al mondo del lavoro e osservare il suo comportamento in gruppo. C’è chi riesce a lavorare bene apportando il proprio contributo e chi invece finge una collaborazione che in realtà boicotta attendendo il momento giusto per mettersi in mostra.

Lo stesso meccanismo tende a innescarsi in azienda. Quando i vertici premono troppo sulla competizione al fine di motivare i dipendenti finiscono con il favorire comportamenti opportunistici.

In realtà, spesso chi li attua difetta anche di competenza e teme per la propria posizione, altri invece pur essendo capaci e competenti temono che collaborare con gli altri non permetta di dare il giusto peso al contributo di ognuno e vi sia quindi impossibilità di vedersi riconosciuto il proprio valore.

Un caso che si verifica molto di frequente nelle imprese e che difficilmente viene segnalato in maniera ufficiale riguarda il rapporto tra tutor e stagista, se il tutor non si sente sufficientemente tutelato a livello contrattuale e nota nello stagista elevate competenze tenderà a boicottare il suo operato al fine limitare la sua affermazione temendo che l’allievo possa superare il maestro. Di conseguenza, l’azienda perde la possibilità di arricchire il proprio livello di competenze e ne vede minato il valore.

La conoscenza non è un bene che diminuisce il proprio valore se condiviso, in realtà dalla condivisione si ottiene esattamente l’opposto. Un approccio collaborativo e cooperativo all’interno del team permette di acquisire maggiori competenze direttamente sul campo e tra i vari membri che operano nel gruppo per il raggiungimento di un obiettivo aziendale comune.

La collaborazione è fondamentale per creare il clima giusto all’interno dell’impresa, lavorare insieme  apportando il proprio contributo specifico conoscendo però l’intero processo rende ogni membro attore protagonista e responsabile permettendogli di avere una visione di insieme che porta a  risultati migliori.

Non è sufficiente però la sola collaborazione, è necessario anche saper cooperare, a volte il caso richiede di operare in autonomia su alcuni processi volti a raggiungere fini comuni, non basta assolvere in modo competente il proprio ruolo se non si è capaci di integrare ogni apporto secondo il giusto incastro.

Team Building: la formazione del team

Investire sulla formazione del proprio team come strategia vincente per creare valore in azienda

Nel precedente articolo abbiamo evidenziato l’importanza che riveste la selezione delle risorse componenti il team di lavoro e il cambiamento, a cui abbiamo assistito negli ultimi anni, in merito alle skills richieste. Una volta che il team è composto é necessario investire in formazione affinché possa lavorare e interagire bene insieme. Affinché ciò sia possibile, i membri del team devono desiderare di esser parte della stessa squadra. Il termine ”desiderare” esprime alla perfezione ciò che dovrebbe accadere, ogni membro del team dovrebbe sentire liberamente la voglia di essere parte di un qualcosa di più grande, sentirsi parte del gruppo all’interno del sistema impresa. Imporre la coesione del gruppo non porta da nessuna parte, il manager o responsabile delle risorse umane dovrebbe favorire il dialogo, le occasioni d’incontro tra i componenti del gruppo anche non strettamente connesse all’attività lavorativa e far così in modo che liberamente si crei un rapporto.

La formazione di un gruppo di lavoro è un momento cruciale dell’organizzazione aziendale, il team costituisce la spina dorsale dell’impresa. Ogni membro del team, contribuisce con il proprio bagaglio di esperienza e competenza, a creare valore per l’impresa, condividendo il proprio sapere per raggiungere gli obiettivi aziendali. Pertanto è necessario gestire al meglio le persone facendo in modo che le diverse skills individuali si integrino ai fini della creazione del valore.

Il team si caratterizza sotto diversi aspetti, strettamente collegati alle esigenze dell’organizzazione, in base ad esse il team può essere

  • un team di progetto, il cui obiettivo è la gestione di progetti innovativi, di ricerca e sviluppo o da svolgere per rivenderli sul mercato. Il team di progetto si occupa in alcuni casi anche di gestire le fasi di transizione e cambiamento delle dinamiche interne all’azienda che si trova ad affrontare nel suo ciclo di vita;
  • team funzionale, le cui funzioni e ruolo sono assegnate dall’organizzazione aziendale;
  • team interfunzionale, composto da membri che si occupano generalmente di funzioni diverse all’interno dell’organizzazione e che riescono a presidiare aree multidisciplinari. In questa tipologia di team le dinamiche sono più complesse rispetto agli altri.

Ogni tipologia di team richiede azioni formative diverse, seppur tutte con il medesimo denominatore che riguarda la  coesione interna. Riuscire a formare un team collaborativo e improntato alla condivisione permette di ridurre i tempi per pervenire a una soluzione, fornire iniezioni di creatività e favorire l’apprendimento reciproco tra i diversi membri.

I manager che vogliono rendere la propria azienda competitiva e di valore non possono esimersi dall’investire in formazione, in loro soccorso come supporto per la formazione del team, esistono vari percorsi volti  a ”formare il formatore”. Con il team coaching è possibile imparare a pensare ed agire secondo una visione complessiva del team, spostando l’attenzione dal singolo al gruppo, la cui forza consiste proprio nell’essere un team coeso che sa lavorare insieme.

 

 

 

 

 

Team building – La creazione di un team di successo

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Investi nel team bulding! Costruire un valido gruppo di lavoro è fondamentale per creare valore di lungo periodo per la tua impresa.

Del team building, in tempi recenti, si sente parlare sempre più spesso. Le aziende hanno cambiato la loro concezione delle persone, passando da un approccio basato sulle competenze del singolo collaboratore  a una visione di insieme del gruppo di lavoro. Il team bulding si occupa proprio di questo, è infatti  un insieme di attività formative nell’ambito del people management che mirano alla creazione di un gruppo che raggiunge il massimo valore nel suo insieme, in modo coordinato e integrato.

All’interno dell’impresa, nella quotidianità lavorativa o nella gestione di un progetto specifico è ormai assodato che la somma delle competenze delle persone esplicate in modo unitario supera nettamente il beneficio derivante dalle qualità professionali del singolo collaboratore.

Se in passato ci si focalizzava solo ed esclusivamente sulle skills dell’individuo, e si analizzava il curriculum   seguendo  schemi rigidi di valutazione, oggi, invece, anche se il CV resta il punto di partenza si va oltre alle sole competenze professionali esplicitate nel curriculum, si valuta anche l’intelligenza emotiva. Si cerca di carpire le attitudini dell’ ipotetico collaboratore, per cercare di comprendere se sarà in grado di portare valore aggiunto al team. Del resto, come per un ingranaggio così per un’organizzazione aziendale, è necessario che il singolo componente sia forgiato a regola d’arte ma deve essere in grado di girare e incastrarsi con gli altri alla perfezione affinché il meccanismo funzioni.

formazione team di lavoroE’ palese che affinché si possa raggiungere l’obiettivo di costruire un team coeso e capace di creare valore, all’interno dell’impresa è necessario investire tempo e risorse. Fare team building non è così semplice come si possa pensare, formare un team capace di lavorare bene insieme, nonostante diversità di competenze e carattere di ogni collaboratore richiede temperamento, intuizione e qualità di coordinamento.  Tutto il lavoro che richiede il team building viene ripagato però dalla creazione di valore di lungo periodo per l’impresa, e il team creato riuscirà a far fronte alle problematiche aziendali anche in momenti di forte stress o di crisi.

Al contrario, se non si investe nella costruzione del  team, in momenti in cui l’azienda versa in cattive acque è destinata a soccombere. Un team che manca di coesione non riuscirà a far fronte agli intoppi che l’azienda potrà trovare nel suo percorso di crescita.

Chi si occupa della creazione del gruppo di lavoro, dovrà riuscire a far emergere il massimo delle potenzialità di ognuno dei membri. L’attività di team building non deve però essere svolta una tantum, ossia non deve morire appena terminata la scelta dei collaboratori inseriti nel team ma deve essere un’attività costante e continuativa nel tempo. Solo così si potranno ottenere ritorni positivi e le azioni intraprese saranno performanti.

coesione teamPer favorire la coesione del team, il manager, leader o responsabile delle risorse umane è bene che oltre a favorire la collaborazione durante le ore canoniche di lavoro, si attivi anche con altri interventi di tipo ludico-ricreativo. Giornate di formazione seguite da cene aziendali, attività sportive o musicali sono l’ideale. I collaboratori avranno la possibilità di fare ”squadra” al di fuori e all’interno del contesto lavorativo.

Seppur debba esserci una certa omogeneità affinché il gruppo possa lavorare bene, fare una buona attività di team building significa riuscire a valorizzare le competenze del singolo, nella loro diversità, all’interno del team. Lavorare sulla creazione del team è un investimento che ripaga nel lungo termine ma ne vale assolutamente la pena. Le aziende moderne non possono non investire nel team building se vogliono creare valore e vantaggio competitivo.

 

Lavoro agile: smart working amico della flessibilità

Un congruo compromesso tra lavoro e vita privata esiste? Si, lo smart working!

Le nuove tecnologie, già a partire dagli anni ’70, hanno consentito e favorito lo sviluppo del telelavoro, inteso come prestazione lavorativa fornita da un luogo diverso dalla sede aziendale, di norma corrispondente al domicilio del lavoratore. Da un po’ di anni a questa parte una nuova terminologia sta prendendo piede: lo smart working.  Di cosa si tratta in realtà? Coincide forse con l’ormai noto telelavoro e ad essere diverso è solo il nome che gli si da? Non esattamente…

Lo smart working rappresenta l’evoluzione concettuale del telelavoro. Recentemente regolamentato, lo smart working nasce con lo scopo di incrementare la competitività e conciliare in modo ottimale vita privata  e lavorativa del dipendente. Si realizza tramite accordo contrattuale tra le parti che ne definiscono modi e tempi di attuazione, il monte ore necessario e l’orario di lavoro. A differenza del telelavoro che prevede quale sede dove effettuare la prestazione lavorativa l’abitazione del lavoratore, lo smart working non prevede una postazione fissa. Il lavoratore può svolgere le sue mansioni ovunque egli voglia entro i limiti orari della sua giornata lavorativa così come concordato tra le parti e nel rispetto dei dettami dei contratti collettivi nazionali.

La regolamentazione dello smart working ha inoltre  introdotto il ”diritto alla disconnessione”, l’accordo scritto tra le parti deve prevedere infatti anche i tempi di riposo del lavoratore, e la struttura organizzativa e tecnica deve essere predisposta affinché possa permettere al lavoratore di disconnettersi in sicurezza. 

Per quanto riguarda il corrispettivo, è previsto che  lo smart worker abbia diritto  allo stesso trattamento economico dei lavoratori che prestano il proprio lavoro in sede.  Per i primi, però, svolgendo la loro prestazione al di fuori dei locali aziendali le modalità di esecuzione delle mansioni sono diverse come diverse sono le sanzioni disciplinari in caso di condotte differenti da quelle previste per ogni categoria di lavoratore.

 

Seppur per l’azienda lo smart worker implica l’investimento in strumenti per la comunicazione e la collaborazione, oltre a uno stipendio pari a quello percepito dai lavoratori in sede, sussistono delle utilità non indifferenti. L’azienda infatti riesce  a ridurre i costi dei luoghi fisici proporzionalmente al numero di dipendenti che lavorano in formula smart working. Inoltre, da alcune indagini effettuate mediamente gli smart workers tendono a lavorare più ore rispetto ai colleghi in sede. Più che portarsi il lavoro a casa, gli smart workers portano la casa a lavoro e questo ha un doppio effetto. Se il lavorare da casa li spinge a lavorare di più per dimostrare che riescono a lavorare bene e di meglio rispetto ai lavoratori in sede, il loro maggior sforzo è premiato dall’essere a casa, ma non solo, possono infatti lavorare seduti su una panchina in un parco, in un internet cafè  o dove meglio aggrada al lavoratore ottenendo così un notevole incremento della qualità della vita e non dimentichiamo che evitano in questo modo l’ansia, di Fantozziana memoria, di non riuscire a timbrare il cartellino in tempo e non perdere il tram o la metro affollatissima!

Intelligenza Emotiva: requisito essenziale per il manager di successo

Perché l’intelligenza emotiva è più importante del QI

” La leadership implica la capacità di stimolare l’immaginazione delle persone e di ispirarle così da spingerle nella direzione desiderata. Per motivare e guidare gli altri, ci vuole qualcosa di più del semplice potere.” (Daniel Goleman)

Negli ultimi decenni, abbiamo assistito all’affermarsi di un nuovo metodo di valutazione dell’intelligenza delle persone. Se in passato il test del quoziente intellettivo era l’unico sistema standardizzato per misurarla, oggi si sta affermando una nuova forma di intelligenza che il test del QI non è in grado di valutare: l’intelligenza emotiva (QE).

QE vs QI: le differenze

QI indica il quoziente intellettivo che viene calcolato attraverso appositi test ed esprime l’intelligenza di una persona, tenendo conto della sua età anagrafica e mentale. Ad esempio se un bambino di 7 anni, risponde al test come la maggioranza dei suoi coetanei avrà un punteggio che lo colloca tra coloro con QI nella media. Se invece, risponde al test come mediamente risponderebbe un bambino di 10, il suo quoziente intellettivo sarà più alto rispetto alla media e ne deriva che il bambino è dotato di intelligenza superiore. A livello empirico sembra che chi ha un QI più alto avrà una carriera accademica brillante e sarà in grado di guadagnare di più rispetto a chi ha un QI più basso.

Con QE si indica l’intelligenza emotiva, che consiste  nella capacità degli individui di captare, controllare e esprimere emozioni. Avere un alto QE non implica avere anche un alto QI e viceversa, in questi casi quale è importante privilegiare per una valutazione dell’intelligenza della persona? A livello nozionistico, per quanto riguarda conoscenze strettamente tecniche e accademiche, il QI batte il QE nella vita pratica e soprattutto in ambito professionale chi presenta una maggiore intelligenza emotiva riesce ad ottenere migliori risultati. La spiegazione è da ricercarsi nella maggiore consapevolezza che tali persone hanno di se stessi e per tanto hanno maggiore controllo sulle proprie azioni, presentano maggiore motivazione e empatia verso gli altri. ììSono più consapevoli di se stessi, più in grado di regolare le loro azioni, sono in grado di gestire meglio la responsabilità, sono motivati e hanno empatia per gli altri.

intelligenza emozionale

Al manager del passato non erano richieste abilità a livello emotivo, era sufficiente che elaborasse le strategie, impartisse ordini e si assicurasse che venissero eseguiti. Tra i test che il manager sosteneva per divenire tale affrontava anche quelli basati sul QI, alla ricerca di relazioni logiche e conti da far tornare. Oggi non basta più, il lavoratore è innanzitutto persona, e le persone sono fatte di emozioni. Se il manager non riesce a leggerle e comprenderle resterà al vertice di un circuito di cui vede solo la copertura esterna ma non riesce ad accedervi internamente e diventarne parte. Attualmente le aziende, in buona parte, vedono ancora al comando ”analfabeti emozionali”, che non riescono a cogliere l’importanza delle relazioni, emozioni e empatia all’interno dell’azienda, al fine di lavorare in armonia e con maggio rendimento.

Dividi e comanda o unisci e vinci? Divide et impera nemico dell’innovazione

Innovazione, una scacchiera

Permetti alla tua azienda di lanciare segnali positivi all’esterno, coinvolgi i tuoi collaboratori nella gestione aziendale, valuta le loro idee in ottica innovazione

Dalle origini della storia dell’uomo, seminare zizzania è stata una tattica molto adoperata e vincente per ”dividere” i nemici, indebolirli, e riuscire così ad ottenere il comando. Se sul campo di battaglia, il divide et impera era una strategia che poteva funzionare la stessa cosa non si può dire per le imprese. I collaboratori in azienda non sono nemici ma giocatori di una stessa squadra con fini comuni, sono alleati necessari per raggiungere gli obiettivi aziendali.

La prima immagine che un’azienda da di sé è data, ad esempio, da come i dipendenti rispondono al telefono, da come accolgono i clienti all’ingresso, dalle relazioni tra management e subordinati e tra colleghi allo stesso livello. Per un cliente, un fornitore o un potenziale partner non è difficile leggere sul volto della forza lavoro dell’azienda se il clima è teso o, al contrario, rilassato e collaborativo. E’ facile percepire se il lavoratore svolge la sua funzione in modo apatico oppure con passione e interesse, ovviamente, nel primo caso l’azienda non fa una bella impressione e ispira anche poca fiducia.

Se capita poi, addirittura, di assistere a scene poco piacevoli, ad esempio confronti ”accesi” tra manager e collaboratori, l’immagine aziendale ne esce sconfitta. Pensiamo a quando capita di prendere un caffè al bar e sentire il titolare che tratta male il personale, quel bar, per quanto possa offrire un buon caffè, difficilmente ci vedrà ancora come suoi clienti.

Autorevoli sì, autoritari anche no

Manager e imprenditori, in quanto leader, devono liberarsi di schemi relazionali formali appresi e utilizzati per

consuetudine, divide et impera serve solo a ribadire il concetto del ”qui comando io”, inutile e, in parte, dannoso. Tali schemi focalizzano l’attenzione sull’autorità, in realtà un manager deve essere un mentore autorevole e non autoritario, puntare alla leadership, alla crescita e all’innovazione piuttosto che al mero controllo e al comando.

Il leader infatti deve essere una guida carismatica, un esempio per i propri collaboratori, accogliere idee ed essere giusto nel valutarle altrimenti se il clima è teso non ci si potrà mai evolvere. Il manager deve essere dotato oltre che di capacità professionali anche di intelligenza emotiva, deve saper parlare con la gente e non alla gente, captare segnali, idee e implementarle premiando chi le ha generate.

La strategia del divide et impera, all’insegna della repressione e della supremazia finisce col creare un clima di tensione. Il confronto non è costruttivo, infatti, l’obiettivo non è confrontarsi per realizzare la strategia migliore ma è semplicemente un gioco di ruoli, si mira a ”spuntarla”, a far prevalere la propria idea per una questione di orgoglio e non per la sua validità.

La competitività tra i membri non è salutare, è una lotta dove ognuno corre per se e non in un’ottica di sviluppo aziendale. Pertanto è auspicabile cercare, a partire dai vertici aziendali, di creare un clima in cui il confronto sia valido e funzionale agli interessi dell’intero sistema impresa e non del singolo collaboratore, ogni idea è importante e va valutata e se è valida va attuata. Solo così si può avviare un processo di innovazione, partendo dalle relazioni all’interno dell’organizzazione aziendale.

Il ruolo del Systems Thinking nell’innovazione manageriale

systems thinking, professionista al computer

systems thinking, professionista al computerSystems Thinking: per innovare la tua impresa comincia dal management

“Le attività umane sono sistemi ma noi ci concentriamo su istantanee di parti del sistema: poi ci domandiamo perché i nostri problemi non si risolvono mai.”  (P. Senge)

La società nella quale viviamo è altamente complessa, in costante evoluzione e caratterizzata da una miriade di problematiche, alcune in parte prevedibili altre del tutto inattese. Affinché sia possibile agire efficacemente di fronte a qualsiasi scoglio è necessario estendere la propria percezione oltre il singolo elemento in una visione di insieme di situazioni interconnesse.

Il manager all’interno del sistema aziendale dispone di una quantità di informazioni massiva, in questo contesto riuscire a isolare quali di esse siano davvero rilevanti non è impresa da poco. Per quanto pragmatico e concreto possa essere il management aziendale risulta comunque un arduo compito.

Grazie al Systems Thinking è possibile, attraverso modelli e regole, comprendere le  connessioni tra le singole sistema innovazionecomponenti del sistema impresa e filtrare, a livello sistemico,  le informazioni che non devono assolutamente sfuggire da quelle meno rilevanti. Alla base di tutto ciò vi è un complesso insieme di eventi, relazioni, rapporti causa – effetto che possono essere colti in modo corretto e secondo il giusto peso solo se si sviluppa una capacità di visione globale.

Fin dai primi anni di scuola ci viene insegnato a scomporre il problema complesso in sotto-problemi facilmente risolvibili, se in alcune situazioni questo approccio può anche funzionare in altre diventa alquanto limitante. Ragionare per algoritmi, scomporre per poi ricomporre, comporta la considerazione di ogni elemento come un’entità a sé stante,  singolarmente e decontestualizzata. In questo modo si perde la visione di insieme e non si è in grado di valutare l’impatto che ogni singolo componente genera sul complesso sistema aziendale. E’ come se per un trapianto di un organo si valuti solo lo stato dell’organo stesso senza tener conto che dovrà essere impiantato in un corpo capace di accoglierlo e adattarsi all’elemento estraneo. Senza valutare lo stato di salute del paziente e stimare la reattività dell’intero organismo all’introduzione del nuovo elemento si rischia il rigetto e le relative conseguenze negative.

Il pensiero sistemico fa grande il manager

Per l’impresa funziona allo stesso modo, il pensiero sistemico è necessario al manager, così come a tutti coloro che sono chiamati di continuo a prendere decisioni, per poter approcciarsi alle problematiche in modo concreto e operativo cogliendo tutte le interconnessioni essenziali all’organizzazione aziendale.

Il Systems Thinking permette di estendere la propria visione dei problemi cogliendo le sfumature che sfuggono ad un approccio di tipo specialistico, consente inoltre di migliorare la comprensione di una problematica complessa attraverso la percezione delle cause che la generano.

systems thinking

In un’ottica operativa il pensiero sistemico è applicabile ad ogni funzione aziendale, è utile nella scelta di nuovi collaboratori, migliorare la comunicazione, valutare l’introduzione di un nuovo prodotto o lo sviluppo di un nuovo ramo di azienda.

Ciò che distingue  un ”pensatore sistemico” da un analista è che quest’ultimo di fronte all’ingranaggio bloccato si focalizza sul problema, sull’effetto manifestato ossia ”l’ingranaggio è bloccato”. Il pensatore sistemico, oltre ad agire sull’effetto riesce a cogliere anche la causa contestualizzata. Il suo obiettivo non è solo rimuovere l’ostacolo ma è garantire un funzionamento ottimale del sistema, in modo che con gli incastri giusti l’ingranaggio torni a girare.

Agile Coaching: imparare ad affrontare la complessità

Agile Coaching, un metodo che “apre” l’impresa ai cambiamenti. L’agile coaching è un argomento che compare sempre più spesso in articoli, presentazioni, e discussioni tra professionisti, se ne scrive e se ne discute ma spesso, in realtà, molti hanno difficoltà nel comprenderne la reale essenza.


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In parole povere, l’agile coaching in che cosa consiste?

Per capire cosa tratta l’agile coaching, prendiamo ad esempio un qualcosa che tutti conosciamo e che soprattutto nel nostro paese è oggetto di culto: il calcio.

E’ ben noto il ruolo che l’allenatore della squadra ricopre e l’importanza che esso riveste, tant’è vero che, seppur molto importanti sono le capacità dei calciatori, chi guida la squadra ha un ruolo primario.

L’agile coach, riportato alla nostra realtà aziendale, è colui che aiuta e supporta l’azienda e il team di lavoro ad adottare e migliorare metodi e processi aziendali, permettendo all’impresa di ripensare il proprio modo di svilupparsi e aprendola al cambiamento. Un’impresa che mira a diventare agile deve cambiare la propria cultura e le abitudini del proprio team a tutti i livelli dell’organigramma aziendale. L’agile coach motiva la propria squadra e la sostiene nelle fasi di transizione adattando le metodologie in relazione al singolo contesto aziendale. Per questo motivo l’agile coaching si adatta bene sia alle grandi aziende che alle PMI che, del resto, costituiscono la quasi totalità del tessuto imprenditoriale italiano.

Il mondo del lavoro e il modo di fare impresa è cambiato, pertanto, rispetto al passato, più che sul ”cosa e quanto produrre” è importante il modo in cui lo si fa.

L’azienda è fatta di persone e parte integrante del lavoro dell’agile coach si fonda sulle relazioni aziendali, all’interno e all’esterno dell’azienda. Sotto l’aspetto della gestione delle persone presenti in azienda, in passato, il punto cruciale su cui si insisteva era la motivazione, motivare il proprio team.

L’idea della motivazione non è del tutto sbagliata, ma il mondo è in continua evoluzione, le persone cambiano e il contesto aziendale deve adattarsi al cambiamento, la migliore motivazione è rendere il proprio team partecipe e auto-organizzato. La motivazione deve essere attuata in modo tale da incentivare le persone attraverso il coinvolgimento, permettere al proprio team di sentirsi parte del sistema impresa. Affinché  le persone si sentano realmente partecipi devono riuscire a percepire che ciò che si sta creando lo si sta facendo insieme. Ben venga l’incentivo economico e/la promozione ma da soli non bastano se il team non è coeso e non si sente un tutt’uno con l’azienda.

L’agile coaching interviene a tutti i livelli aziendali, dalla produzione alla commercializzazione, andando ad agire su strategie e processi, oltre che, come si è visto, sull’area people operation.