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Trucchi e consigli per tutti gli smart workers
Smart working sempre più diffuso anche in Italia, ma quali sono i trucchi per essere sempre al top?
Smart working o lavoro agile? Che preferiate il termine inglese o la traduzione in italiano, il contenuto rimane lo stesso, e si tratta di quella modalità di lavoro che porta molti benefici, sia al datore di lavoro sia al dipendente stesso. Lo smart working, o lavoro da remoto, con la possibilità di gestire orari e luogo di lavoro (casa, caffetteria o co-working) è sempre più diffuso anche qui in Italia, prendendo esempio da aziende oltreoceano di successo.
Lo smart working dunque si diffonde e viene finalmente riconosciuto anche dalla legislazione, che prende posizione e chiarisce quali sono i diritti e i doveri del lavoratore smart. Rimane però un quesito, quali sono i trucchi e i consigli per affrontare al meglio lo smart working? Cerchiamo di dare una risposta in questo breve articolo.
Prima di tutto cercate di conoscere bene la legge appunto. Ora che esiste una normativa per smart workers che compara i lavoratori agili ai dipendenti classici, con gli stessi diritti, informatevi e non fatevi sfuggire occasioni preziose. Se non lavorate per una sola azienda, ma gestite il vostro lavoro smart come freelance nessun problema. Esistono infatti coperture e sgravi fiscali anche per chi effettua il proprio impiego come ‘nomade digitale’. Dunque il primo consiglio è informatevi! Non solo per rimanere aggiornati e al passo con i tempi ma soprattutto per conoscere ciò che è nel vostro interesse.
Passiamo ora ai consigli tecnici. Uno smart worker ha bisogno dell’equipaggiamento giusto! E dunque partiamo subito con computer e smartphone. Vale la pena spendere qualche euro in più ma avere a vostra disposizione un buon prodotto, che possa sostenere il carico di lavoro che andrete a svolgere. Lo stesso discorso si può applicare a chi ha bisogno di programmi informatici o di grafica, gestionali o di editing: scegliete con cura, ne va del vostro lavoro. Al di là dei sistemi operativi e ai programmi, esistono ormai moltissime app create appositamente per chi lavora da remoto: comunicazione, gestione eventi e documenti, to-do-list e chi ne ha più ne metta. Scegliete quelle più indicate per il vostro lavoro e non fatevi fermare da nessuno.
Oltre a software a hardware avrete bisogno di un internet provider che vi assicuri una linea stabile e veloce. Scegliete dunque con cura il vostro servizio, valutate le diverse offerte. Per chi gestisce anche dati sensibili e pagamenti (compresi i freelance) affidatevi ad un sistema che protegge la vostra privacy per evitare attacchi informatici e leak di dati.
Oltre all’apparato tecnico giusto, rifornitevi anche dell’attitudine giusta! Lo smart working si basa sull’innovazione del sistema lavoro, sulla fiducia e sulle competenze. Dunque mostratevi dinamici, aperti, flessibili. Allo stesso tempo avrete modo di far rispettare i vostri diritti, di organizzare il vostro lavoro come preferite, di sentirvi a vostro agio mentre lavorate, senza pressione e senza preoccupazioni di dress code e simili. Gestite il vostro lavoro sfruttando le ore in cui vi sentite più produttivi. Lavorando a distanza, nella comodità di casa propria o del proprio studio, non sentendo la pressione del luogo di lavoro, evitando lo stress da pendolari (e così risparmiando soldi e inquinando meno), il lavoratore agile è più felice e dunque produce di più, rendendo felice anche il datore di lavoro.
Di certo i benefici sono presenti da entrambe le parti. E sentiremo parlare sempre più spesso di smart working.
Employee Engagement: cos’è e perché è importante per la tua azienda
La percezione che il dipendente ha del proprio ruolo all’interno del team, ottenuta attraverso la definizione di obiettivi chiari e il rilascio di feedback regolari e costruttivi, incrementa la fiducia e l’impegno che il collaboratore infonde nello svolgimento del proprio lavoro.
L’employee engagement misura il coinvolgimento del dipendente nell’espletare il proprio lavoro. L’interesse che il lavoratore ha per la propria mansione e per l’azienda incide in modo diretto sulla sua capacità di contribuire alla realizzazione degli obiettivi aziendali.
Il coinvolgimento del dipendente aumenta in relazione alla percezione del proprio ruolo all’interno dell’impresa. Un dipendente che si sente parte dell’azienda in modo completo e attivo, riuscendo a comprenderne in pieno gli obiettivi risulterà più motivato e, a parità di competenza nella mansione, più produttivo ed efficiente rispetto a un dipendente che si sente ”estraneo” alla mission aziendale. Oltre all’ambiente professionale in senso stretto, l’employee engagement è influenzato anche dal necessario equilibrio tra vita lavorativa e privata.
Riuscire a coinvolgere efficacemente i propri dipendenti migliora le loro performance il che si traduce in un beneficio qualitativo ed economico per l’impresa. Se il dipendente è soddisfatto della propria vita professionale e si sente ”legato” all’impresa in cui lavora tendenzialmente non cerca alternative lavorative esterne e ciò permette di diminuire il turn over che, come ben sappiamo, se è elevato non è un buon indice per l’impresa.
Employee Engagement: solo riflessi positivi, anche non scontati
Attivare politiche di employee engagement ha un riflesso positivo anche su aspetti che a un primo sguardo non sembrano essere direttamente collegati, ad esempio: la customer satisfaction, la capacità di innovare e l’adattabilità ai cambiamenti, oltre a un tasso di assenteismo molto basso.
Il lavoratore che si sente parte dell’impresa tratta il consumatore come un ”proprio” cliente e cerca di soddisfarlo in pieno e prevenire le sue necessità. In un clima lavorativo sereno l’innovazione sarà accolta di buon grado in quanto non ci sarà il timore di uno stravolgimento lavorativo e il cambiamento avverrà senza contrasti.
Per riuscire a coinvolgere il dipendente è necessario lavorare sulla trasparenza aziendale, fornire obiettivi chiari e non utopici, incrementare la comunicazione all’interno dell’impresa facendo comprendere pienamente la mission aziendale.
L’impresa deve inoltre garantire l’uguaglianza nel trattamento economico relativo alla figura professionale senza attuare differenze di genere. L’assenza di disparità nelle retribuzioni sembra un concetto assodato, purtroppo, in realtà, esiste ancora in tante imprese. Inoltre è necessario creare opportunità di formazione e definire uno schema chiaro sugli step da seguire per gli avanzamenti di carriera.
L’impresa, infine, deve essere in grado di creare un dialogo con i propri dipendenti, ascoltarli e permettere il confronto costruttivo, deve riuscire a comprendere le esigenze dei propri collaboratori e, nei limiti del possibile, essere disponibile a dimostrare, a sua volta, una certa flessibilità, caratteristica che sempre viene richiesta al lavoratore.
Change Management Process – Gli step da seguire per attuare con successo un processo di cambiamento
“Non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare.” (Winston Churchill)
In un precedente articolo abbiamo affrontato la tematica del processo di gestione dei cambiamenti all’interno di un’impresa e la necessità di cambiare ed evolversi per riuscire a stare al passo con i tempi, mantenendo salda la propria presenza sul mercato.
Un’organizzazione è costantemente in evoluzione. Il cambiamento può essere causato dall’avvento di nuove tecnologie, innovazioni di processo o di prodotto, oppure dal dover riorganizzare i servizi offerti alla clientela; in ogni caso, intervenire attivamente è necessario per la crescita e la redditività aziendale. É dunque fondamentale riuscire a gestire i cambiamenti in modo efficace cercando di ridurre al minimo, nella fase di transizione, l’impatto ”sconvolgente” sul team e sulle attività aziendali.
Step essenziali del change management process
Indipendentemente dalla tipologia di cambiamento perseguito, è necessario:
1. Porsi chiari obiettivi da raggiungere
Un processo di cambiamento non è quasi mai breve e indolore. Avere ben chiaro sin dall’inizio cosa effettivamente vada migliorato, ossia l’obiettivo finale del processo, è fondamentale. Ciò permette infatti di identificare e allocare le risorse, economiche e umane, necessarie al raggiungimento dello scopo.
2. Pianificare il change management process
Una roadmap che traccia il percorso da intraprendere con i vari step del change management fino al raggiungimento dell’obiettivo è essenziale per poter procedere nelle lunghe fasi del percorso. Il processo di cambiamento deve avere degli step chiari e obiettivi intermedi misurabili per poter verificare l’effettivo avanzamento del processo.
3. Allocare le risorse finanziare e individuare il team
Nell’ambito del processo di pianificazione, l’identificazione delle risorse e le fonti di finanziamento sono elementi cruciali. Potranno essere necessari nuovi strumenti software che richiederanno, oltre ad un investimento in termini finanziari, anche un impegno in termini di formazione. Ad esempio, si pensi all’implementazione di un nuovo software gestionale, sarà necessario prevedere delle sessioni formative per il personale che andrà ad utilizzare il nuovo software senza che ciò blocchi le normali attività aziendali.
4. Comunicare efficacemente
Identificare, pianificare, integrare ed eseguire un buon piano di gestione dei cambiamenti dipende da una comunicazione efficace. All’interno dell’impresa alcuni team sono già costituiti, il cambiamento può portare uno scombussolamento dei ruoli e delle mansioni e richiedere la formazione di nuovi gruppi di lavoro. Si dovrà far in modo di preparare i collaboratori in modo tale che il cambiamento non generi frustrazioni e incompresioni.
5. Gestire la resistenza, i rischi di bilancio e riconoscere i meriti del team
Di fronte ad ogni cambiamento è fisiologico incontrare delle resistenze da parte del personale e anche da parte dei vertici aziendali. Il cambiamento spaventa, da sempre si accompagna a nuove opportunità ma, d’altro canto, anche a insicurezza. La resistenza va superata cercando di anticipare il rischio ed essendo pronti ad affrontare eventuali eventi negativi che possano generarsi. Infine, il team, concluso il processo, deve vedersi riconosciuto i propri meriti in modo tale che i prossimi cambiamenti vengano accolti con meno resistenze e più entusiasmo.
Change Management Process – L’articolato percorso verso il cambiamento
Un’organizzazione rigida delle funzioni aziendali si è rivelata essere spesso fallimentare. Operare un cambiamento, in molti casi, non è però una scelta, sono le circostanze ad imporlo. In altri contesti si tratta invece di un cambiamento programmato al fine di incoraggiare la crescita aziendale e il miglioramento. In entrambi i casi, sembra, però, che la scelta di cambiare non sia effettivamente una scelta libera, ma un passo obbligato per la sopravvivenza o il successo dell’impresa.
Sconvolgere un sistema collaudato di gestione e avventurarsi nelle acque agitate dell’innovazione non è di sicuro agevole. Bisogna progettare il processo di trasformazione tenendo conto che spesso cambiamenti rilevanti hanno un tempo di attuazione fisiologico, che avviene in maniera lenta e programmata.
Generalmente, quando il management propone dei cambiamenti in azienda, questi ultimi non vengono accolti con entusiasmo né dai vertici aziendali né dal personale. Il timore della proprietà è quello di dover trovare fondi per finanziare le innovazioni, che siano di processo, prodotto o organizzative. Per quanto riguarda il personale, i cambiamenti più temuti sono di tipo organizzativo o legati alle innovazioni tecnologiche.
Per alcuni collaboratori dover acquisire nuove conoscenze, ad esempio l’utilizzo di nuovi software, o ritrovarsi in nuove formazioni lavorative dovendo ricominciare da zero a lavorare sull’affiatamento del team sono motivi di rimostranze. Il management in questi casi dovrà essere in grado di dimostrare la validità che il processo di cambiamento apporterà in azienda, evidenziandone i benefici ma senza nascondere che il percorso di cambiamento non sarà immediato e richiederà impegno da parte di tutti i livelli aziendali.
Il Change management process
L’approccio alla gestione del processo di trasformazione, tendenzialmente, si sostanzia attraverso la pianificazione piuttosto che come reazione alla sfida che un cambiamento organizzativo rappresenta.
La gestione dei cambiamenti si è evoluta negli ultimi anni attraverso veri e propri modelli, al fine di ammorbidire l’impatto della modifica di processi e piani di gestione sulle organizzazioni.
I modelli di gestione dei cambiamenti sono stati sviluppati in base alla ricerca e alle esperienze maturate nei processi di gestione del cambiamento. La maggior parte di questi modelli permettono di sviluppare processi di trasformazione che possono essere applicati sia all’organizzazione aziendale sia alla crescita personale dell’individuo.
Affinché un modello di gestione del cambiamento sia efficace, deve avvalersi di idonei strumenti di supporto. Tali strumenti vengono sviluppati generalmente all’interno del team di gestione e dagli stakeholder coinvolti nel processo.
Generalmente è necessario sviluppare una roadmap del processo, riuscire a valutare l’avanzamento a fasi intermedie attraverso misurazioni ed analisi, prevedere percorsi di miglioramento futuro.
Empatia, l’arma vincente del tuo business
Jeff Gothelf, da più di vent’anni coach e team leader, scrive così dell’empatia sul suo sito “Perception is The Experience”: “Esci dal tuo spazio, dal tuo ufficio o co-working. Incontra i tuoi clienti, chiedi loro come si sentono. Ascoltali e loro lo sapranno. Li ritroverai nei tuoi prodotti e servizi.”
Con una serie di esempi descrive quella capacità di immedesimarsi in un’altra persona e comprenderne immediatamente lo stato d’animo. Un aspetto divenuto ormai cruciale, non solo per la vita lavorativa in azienda e per uno storytelling efficace del brand, ma anche per relazionarsi con i propri clienti. Dall’empatia infatti possono scaturire tutta una serie di opportunità e benefici.
Empatia: ascolto e comprensione
Ogni imprenditore pensa che il suo prodotto sia il migliore e che abbia tantissime qualità per arrivare al successo. Ma questo è, appunto, il punto di vista di chi fa business, non di chi decide di acquistare quell’oggetto o servizio. Capire le motivazioni dei propri clienti e le emozioni che li spingono a scegliere proprio il tuo brand è la chiave per distinguersi sul mercato. Cercare di comprendere quali siano i loro desideri e le loro esigenze può davvero fare la differenza per la tua azienda. Porsi in modo empatico nei confronti del cliente, mettersi nei suoi panni o, come dicono in America, “camminare un miglio con le sue scarpe” trasmette il messaggio che dietro il marchio ci sono delle persone vere, a cui può dare fiducia. E che saranno pronte ad ascoltarlo.
Grazie alla tecnologia, al web e soprattutto all’avvento dei social media, un consumatore non è più una figura passiva, ma una persona con un mondo intorno che ha l’opportunità di far sentire la propria voce. Tapparsi le orecchie sarebbe non solo un grave errore, ma anche un modo per non riconoscere la necessità di un cambiamento fondamentale per restare al passo con i tempi.
L’empatia per il customer care
Si tende a credere che un buon customer service debba semplicemente risolvere eventuali problematiche per fornire un servizio soddisfacente. Non è così: il vero obiettivo è riuscire a offrire al cliente un’esperienza assolutamente positiva, che possa essere ricondotta al brand.
Mettersi nei panni del cliente che sta sperimentando una situazione spiacevole, inoltre, aiuta anche a svolgere meglio il lavoro, perché permette di capire più velocemente come intervenire. Non sempre però è possibile accontentare il cliente, per tutta una serie di variabili.
L’importante è però mostrargli come l’impegno e l’interesse non siano mancati, nonostante non si sia riusciti ad arrivare a una risoluzione. L’empatia quindi è una caratteristica da prendere in considerazione quando si cercano collaboratori per la propria impresa, come abbiamo già spiegato in un post precedente.
Un business che vuole essere competitivo e vincente include sicuramente l’empatia tra i suoi punti di forza.
Due Diligence nelle startup: gli elementi chiave su cui si concentrano gli investitori
La prima fase di vita di una startup è caratterizzata da ingenti investimenti e bassi utili che vengono solitamente reinvestiti nella società. In questa fase è vitale riuscire ad ottenere finanziamenti a tassi agevolati e attrarre investitori, che prima di compiere le loro scelte di investimento daranno avvio alla fase di due diligence.
E’ difficile però per un’azienda neonata, che opera in settori altamente tecnologici e volatili riuscire ad ottenere finanziamenti attraverso i canali bancari, inoltre, i capitali ottenuti sono in genere concessi a tassi molto elevati. Riuscire ad attrarre investitori privati e istituzionali è vitale per le startup.
Se una startup è riuscita a catturare l’interesse degli investitori è già a buon punto, significa che l’idea imprenditoriale appare ai loro occhi, vincente. A questo punto parte la fase di due diligence nella quale l’investitore andrà ad approfondire nel dettaglio i dati aziendali, gli elementi essenziali e il contesto in cui opera l’impresa.
Spesso però per una startup non sussistono grandi dati su cui effettuare le analisi, pertanto la due diligence si esplica osservand0 le potenzialità e altri aspetti quali il team, il mercato di riferimento, l’innovazione che è capace di apportare e di conseguenza la sua scalabilità.
Quali sono gli elementi su cui l’investitore si focalizza durante la due diligence?
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Le persone
Elemento portante di una startup è sicuramente il suo team, e soprattutto gli imprenditori che hanno dato vita all’impresa. Nelle startup innovative la qualità del capitale umano è molto elevata in quanto per essere classificate come tali le startup devono avere un team altamente professionale composto da laureati magistrali e dottori di ricerca.
Agli occhi degli investitori è importante trovare un elemento di differenziazione che possa farli propendere per un’impresa anziché per un’altra, questo elemento in genere si identifica nella vision e nella motivazione dei fondatori.
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L’oggetto dell’attività d’impresa e il mercato
Il prodotto servizio su cui la startup decide di incentrare la sua attività, essendo l’elemento grazie al quale l’impresa genererà utili è uno dei punti chiave su cui concentrare le analisi.
Il prodotto riesce a piazzarsi bene sul mercato? Come si colloca rispetto ai competitors? E’ un prodotto/servizio che non esiste ancora sulla piazza e nell’eventualità il mercato è pronto per accoglierlo? Sono tutte domande che guidano gli investitori nella loro analisi rischio/beneficio.
Bisogna capire se ci sono potenzialità di crescita ossia se la startup sia scalabile. Il modello di business scelto dall’impresa consente di valutare lo sviluppo raggiunto dalla startup utilizzando come indicatore il suo tasso di crescita mensile valutando ad esempio numero differenziale di clienti acquisiti.
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Strategie di exit
Le startup reinvestendo la maggior parte degli utili nell’impresa lasciano poco guadagno agli investitori, che mantenendo l’investimento nel lungo periodo puntano ad ottenere il loro ritorno economico grazie al tasso di crescita dell’azienda.
Considerata però la volatilità dei mercati del contesto economico in cui si collocano le startup, non si può essere certi che effettivamente questa crescita ci sarà e qualora l’investitore voglia dismettere in tempo il proprio investimento deve poterlo fare.
L’exit rappresenta l’unica alternativa per monetizzare il proprio investimento nell’immediato, vincoli troppo stringenti che impongono all’investitore di mantenere il proprio investimento lo spingono verso altri progetti aziendali.
Lavoro Agile: la regolamentazione dello smart working
Grazie ai benefici ottenibili attraverso il lavoro agile, di cui abbiamo parlato in un precedente articolo, sempre più aziende decidono di aprire le loro porte agli smart workers. Dal 2017 il lavoro agile gode di una propria regolamentazione.
Anche il legislatore ha dovuto prendere atto del fenomeno di ampia portata rappresentato dal lavoro agile. La sempre maggiore flessibilità richiesta ai lavoratori ha fatto nascere nuove modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, per le quali fino a maggio di quest’anno vi era un vuoto legislativo.
La legge 22/05/2017 n.81, dopo numerose navette tra Camera e Senato, è stata pubblicata sulla GU n.135 del 13 Giugno 2017. La legge, intitolata ”Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”, nel capo II articola il lavoro agile.
Con questa legge si va a colmare un vuoto legislativo che si cercava di riempire attingendo dalla normativa sul telelavoro nelle aziende pubbliche che, però, è ben differente dallo smart working, sia per caratteristiche intrinseche che per la tipologia di aziende per le quali è svolto, perlopiù private.
Innanzitutto viene definito lo smart working, come la forma lavorativa nella quale la prestazione agile può avvenire in parte presso i locali dell’azienda e in parte all’esterno, senza avvalersi dunque di una postazione fissa.
Lo smart worker, rispetto a chi effettua la prestazione mediante telelavoro può espletare la propria mansione dove meglio crede, dalla panchina del parco al divano di casa propria, rispettando ovviamente gli orari concordati con l’azienda e avvalendosi di idonei mezzi tecnologici di supporto.
L’articolo 18 della legge 81/2017 va a definire il concetto di lavoro agile come “modalità flessibile di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato allo scopo di incrementarne la produttività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.”
I punti salienti della legge riguardano l’equiparazione dello smart worker al dipendente che svolge il proprio lavoro all’interno dell’azienda, sia sotto il profilo economico sia sotto il quadro normativo relativo a diritti e doveri.
Fondamentale, a pena di nullità, è la stipula di un accordo scritto che individui le modalità di svolgimento del lavoro.
Lo smart working si sostanzia in una prestazione lavorativa di tipo subordinato che presenta le seguenti peculiarità:
- Il lavoratore agile effettua la sua prestazione sia all’interno che all’esterno dei locali aziendali;
- L’attività lavorativa viene spesso effettuata attraverso idonei strumenti tecnologici;
- Il lavoratore non è vincolato ad una postazione fissa nei momenti in cui espleta la propria attività fuori dai locali dell’azienda.
Per quanto riguarda l’orario di lavoro, si è pensato che una regolamentazione stringente rischiasse di interferire con le caratteristiche del lavoro agile, che lasciano al lavoratore una certa autonomia di gestione con un fine di scopo e non di ore lavorate, d’altro canto il datore di lavoro non avrebbe modo di verificare l’effettiva durata della prestazione quando questa si svolga all’esterno dell’azienda. Alla fine però si è deciso di definire la giornata lavorativa dello smart worker così come quella del dipendente che lavora in sede, comprendente ossia le canoniche otto ore giornaliere.
Modelli di business: come il digitale ha cambiato il modo di fare impresa
E’ stato creato un buon prodotto e la nostra azienda è valida e solida ma se non siamo capaci di adattarci al cambiamento, crescendo e rinnovandoci con esso, siamo destinati a soccombere.
L’avvento dell’era digitale ha visto nascere numerosi modi di fare impresa, abbiamo assistito al proliferare di modelli di business web-based, e-related e click-and brick per citarne alcuni, che indipendentemente dalla loro validità hanno portato ad uno stravolgimento nell’organizzazione aziendale e nel modo di affrontare il mercato competitivo.
Per quanto internet sembri rappresentare la chiave di volta dell’economia e un’innovazione stravolgente quanto necessaria, il vecchio modo di fare impresa non è del tutto da cestinare.
Del resto, anche in ambito web, seppur con delle diversità, restano sempre fondamentali gli elementi su cui un’impresa si fonda che rappresentano i capisaldi dell’attività aziendale, parliamo ovviamente del prodotto/servizio offerto, dell’attenzione al cliente, della strategia, dello studio e del confronto con i competitors.
Definire i modelli di business adottati dopo l’avvento di internet diventa più complesso rispetto al passato, dovendo valutare molti più fattori diversi tra loro ed essendo sorte tipologie di imprese che difficilmente si possono inquadrare nei tre settori produttivi storici, primario, secondario e terziario, più il neonato settore quaternario.
Modelli di business e settori ibridi
Oggi la maggior parte delle imprese opera in un settore ibrido, dove la componente più consistente è data dai servizi offerti, che possono essere l’oggetto primario dell’impresa o comunque un elemento, seppur secondario, di grande rilevanza.
Dal 1998, anno in cui si è data alla rete maggiore credibilità, molte aziende hanno stravolto il proprio business convinte che di lì a poco il tradizionale modo di fare affari sarebbe scomparso. In alcuni casi la troppa voglia di innovare e cambiare ha portato al fallimento, in altri casi è stato avviato un processo di cambiamento più ragionato e graduale portando alla sopravvivenza e alla affermazione dell’impresa.
Le cause concorrenti che hanno portato al fallimento sono da ricercarsi nell’approccio alla rete. Agli inizi i siti internet venivano utilizzati solo come vetrina virtuale, come fonte di informazione ”automatica” per il cliente alleggerendo le procedure informative all’interno dell’azienda fisica.
Purtroppo spesso i webmaster, esperti in programmazione ma carenti in competenza in merito ai processi aziendali, non erano in grado di soddisfare le esigenze strategiche e di marketing dell’impresa, e da parte dell’impresa mancava la capacità di guidarli sotto questi aspetti in quanto si trattava di un mondo ancora inesplorato.
Chi si lanciò nell’e-commerce invece non aveva idea di quanto complicato fosse gestire la logistica e della necessità di integrare nei sistemi gestionali i processi aziendali interni con quelli legati al negozio online.
In poco tempo però si riuscì ad arginare le problematiche emerse e si migliorò velocemente per colmare le carenze. I modelli di business che nacquero allora sono validi ancor oggi, essendo molto più agili e flessibili, con processi che prevedono la possibilità di apportare migliorie senza però andare incontro agli alti costi legati al cambiamento che una struttura rigida presenta.
L’area di People Management in un contesto dove la rete domina il mercato deve accogliere nuove figure specializzate sul marketing non tradizionale e puntare molto sulla customer satisfaction.
Antifragile: la capacità di reagire agli eventi negativi e uscirne rafforzati
Prevedere le crisi finanziarie e dei mercati, paradossalmente, non è il miglior modo per affrontarle e superarle. E’ necessario costruire dei sistemi che possano resistere agli impatti negativi permettendo alle imprese di uscirne rafforzate. Evitare di commettere errori? Sarebbe idilliaco ma gli errori si commettono ed è fondamentale imparare la lezione e crescere.
”In principio era il caos”…
Dall’origine del mondo abbiamo imparato che il disordine è fonte di vita, scoperte e innovazioni. Un mondo, in senso economico e non, troppo regolamentato e eccessivamente controllato è stagnante, immobile e in quanto inelastico più a rischio nel momento in cui si incorra in situazioni di crisi.
Cosa significa ”antifragile”?
Il termine ”antifragile”, coniato dal matematico, filosofo e saggista Nassim Nicholas Taleb, è stato creato per definire l’esatto opposto di ”fragile”. Esistono altri termini che si potrebbero utilizzare per definire lo stesso concetto, così sembrerebbe…
In realtà antifragile sta ad indicare un qualcosa in più rispetto a ciò che definiscono altri termini quali ad esempio robusto, resistente, infrangibile. Questi ultimi termini stanno ad indicare la proprietà di resistere a eventi dannosi, la facoltà di reggere ai colpi e alle crisi. Essere antifragile permette non solo di ”sopravvivere” agli shock e attacchi esterni ma addirittura uscirne migliorati.
L’antifragilità pertanto va a definire tutte quegli oggetti, situazioni, sistemi e imprese che riescono a beneficiare di elementi che generalmente vengono visti come eventi e fattori negativi.
Una struttura organizzativa all’interno di un’impresa che riesce a trarre beneficio dall’aleatorietà, dagli eventi improvvisi e dal caos riesce a fare dell’incertezza un punto di forza in un sistema economico dove la maggior parte degli operatori è avverso al rischio e cerca di lottare contro la volatilità del mercato anziché sfruttarla.
Strutture complesse e fortemente regolamentate, che siano i sistemi economici e/o politici e al loro interno le imprese, diminuiscono la loro forza e resilienza all’aumentare delle regole imposte dall’alto. Ogni intervento esterno volto a infoltire la regolamentazione per gestire l’imprevisto, porta all’introduzione di nuove regole che sperano di sistemare le conseguenze inaspettate generate dall’evento inatteso, determinando un effetto domino di situazioni non programmate a cui far fronte.
In alcuni casi si dovrebbe permettere ai sistemi di riequilibrarsi secondo un ordine naturale delle cose.
Il pensiero di Taleb, applicato in contesti che spaziano dalla gestione d’impresa all’economia passando per la società, definisce il comportamento ”fragile” produttivo di interventi artificiali che apportano vantaggi irrisori e numerosi effetti collaterali, impercettibili ma potenzialmente distruttivi.
Per rendere il concetto più fluido, facciamo un esempio rapportato alla vita quotidiana. Curare un raffreddore con un’aspirina può apportare un beneficio immediato e visibile, l’aspirina però è potenzialmente foriera di numerosi effetti collaterali che qualora si presentassero annullerebbero del tutto il beneficio ottenuto dalla sua assunzione causando altri problemi che necessiterebbero un ulteriore intervento medico. Permettere al corpo di recuperare in modo naturale secondo i suoi tempi avrebbe evitato di incorrere in tali inconvenienti. Così come nell’esempio, la volontà di ”riparare” con interventi esterni e macchinosi il sistema impresa, finisce col causarne la rottura.
Gli interventi dall’alto, risultano avere un impatto negativo sul sistema economico che per essere antifragile deve paradossalmente essere composto da unità potenzialmente fragili. Se l’impresa non è in grado di rigenerarsi deve poter fallire, dando un segnale di ciò che non funziona.
I salvataggi statali innescano un circolo vizioso tenendo in vita quelle imprese, troppo grandi per poter fallire per i danni che causerebbero sull’occupazione, ma che in realtà assorbono fondi pubblici non essendo stati in grado di autogestirsi e che ricadono sulla collettività.
5 azioni per migliorare l’ambiente di lavoro e motivare il tuo team
Una persona felice è un collaboratore felice. Migliorare l’ambiente di lavoro e rendere più facile la vita dei membri del proprio team incrementa la loro motivazione con notevoli benefici per l’attività aziendale.
In un precedente articolo abbiamo visto come nuove modalità di svolgimento della prestazione lavorativa possano migliorare le performance del lavoratore e dell’impresa, rappresentando un equo compromesso tra la vita privata e la produttività sul lavoro. Purtroppo, però, lo smart working non è applicabile ad ogni mansione e tipologia di lavoro, pertanto, per queste categorie, è necessario individuare un’altra soluzione.
La motivazione e la felicità sul luogo di lavoro sono elementi essenziali affinché il lavoratore possa svolgere con serenità la propria mansione lavorativa infondendo il massimo impegno. Tra i fattori che minano la motivazione vi è l’impatto che lo svolgimento del lavoro ha sulla qualità della vita del dipendente.
Come è possibile per il datore di lavoro rendere l’ambiente lavorativo idoneo a favorire la motivazione nel proprio team?
1. Organizzare gli orari di lavoro in maniera flessibile.
La flessibilità è una dote che spesso le aziende richiedono al lavoratore ma sembra purtroppo essere una richiesta che manca di reciprocità. Pertanto il lavoratore viene chiamato a prolungare la sua prestazione lavorativa o in alcuni casi ad abbreviarla solo in funzione dell’attività aziendale, in relazione a picchi e cali di lavoro.
Non dimentichiamoci però che il rischio di impresa è a carico dell’imprenditore e per i periodi di maggior lavoro deve prevedere l’inserimento di nuovi collaboratori e nei periodi di calo organizzare le attività senza influire sulla vita del lavoratore. Inoltre, sarebbe equo mostrare una certa tolleranza sugli orari anche quando è il lavoratore a manifestare un’esigenza non prevedibile e in ogni caso temporanea.
2. Fornire ai lavoratori strumenti idonei e professionali per eseguire il proprio lavoro.
Gli strumenti utilizzati nello svolgimento del proprio lavoro non sempre sono all’avanguardia, senza esagerare certamente non si pretende di avere l’ultima versione di un software o l’ultimo modello di un pc, del resto però l’età della pietra è superata! Esistono sistemi gestionali pensati per gestire al meglio le attività aziendali e pure ci si ostina in alcuni casi, per poca voglia di investire o timore delle economie di apprendimento a usare dei software che hanno fatto storia ma che ora sono alquanto superati.
Il lavoratore si trova così a svolgere il proprio lavoro con il computer che si blocca e ad impazzire nella ricerca di informazioni per via del sistema di archiviazione obsoleto.
3. Incentivare il lavoratore con premi e percorsi di carriera definiti.
Per quanto possa piacerci la nostra mansione e sentirci già soddisfatti, il desiderio di evolvere è insito nella natura dell’uomo che desidera avere sempre di più, non solo per quanto riguarda il corrispettivo economico ma anche sotto l’aspetto professionale, per la propria realizzazione.
Creare dei percorsi di carriera chiari che lo rendono possibile è un incentivo notevole così come veder riconosciuto il proprio impegno attraverso dei premi.
4. Sostenere il lavoratore e la sua famiglia.
Rendere più facile la vita del lavoratore fuori dal contesto strettamente lavorativo non è solo favorevole all’azienda per quanto riguarda il prestigio aziendale, ma anche sotto l’aspetto delle performance del lavoratore.
Se si è più tranquilli su dei temi quali la salute ad esempio o la scuola dei figli si riesce a lavorare meglio. Seppur il welfare dovrebbe essere materia statale, quando tutto manca, anche le aziende possono fare la la loro parte mediante la creazione di asili aziendali, ad esempio, oppure mettendo a disposizione del lavoratore un’assicurazione integrativa.
5. Offrire un ambiente di lavoro piacevole e sano per i momenti di pausa.
Durante lo svolgimento dell’attività lavorativa vi sono delle interruzioni programmate, come la pausa pranzo, ad esempio, e quando necessario, il dipendente può concedersi una pausa caffè.
Rendere gli spazi dedicati a questi momenti, arieggiati e luminosi, permette al lavoratore di staccare davvero per quei pochi minuti e ricaricarsi. Dove presente una mensa aziendale, proporre un menù sano ed equilibrato, rende il lavoratore più attivo e in salute.
Fonte: ”Qualità della Vita in Azienda, Motivazione e Welfare: gli elementi chiave del futuro di una PMI Italiana” (Sodexo)