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Product Owner Challenge Game
Product Owner Challenge è un gioco Agile che aiuta a far emergere le tipiche problematiche di comunicazione e gestione tra Product Owner e Development Team
Ho fatto questo gioco tre volte e in tutte sono emerse discussioni legate alle regole del gioco stesso:
- La prima volta durante il POCamp 2015 emersero delle discussioni legate alla poca chiarezza nell’assegnare i punti; in quel caso non fu condotta, per problemi di tempo, nessuna retrospettiva corale ma ci furono semplicemente delle discussioni successive tra i partecipanti.
- In una azienda, in quel caso due gruppi di Product Owner lamentavano una poca chiarezza nello scopo del gioco che avrebbe cambiato il modo di costruire il modellino.
- In un’altra azienda con un gruppo misto (Product Owner+Dev Team) in quel caso la discussione verteva sull’eccessivo dettaglio delle istruzioni che riduceva l’autorganizzazione del gruppo.
In tutti e tre i casi si identificavano 2 principali modelli di comportamento:
- una gestione puramente Waterfall basata sulla comunicazione di istruzione per istruzione cercando di stare il più fedele possibile al libretto delle istruzioni, in questo caso il Development Team si limitava unicamente a seguire passo dopo passo senza essere minimante coinvolto nella progettazione. In tutti i casi si otteneva il modello più inerente alla richiesta.
- una gestione Agile basata sulla comunicazione della vision e sulle funzionalità principali; in questo caso il risultato si discostava maggiormente dal modello originale anche se cmq era coerente alla richiesta.
Il vero valore del gioco consiste nella retrospettiva alla fine del gioco: è bene fin da subito chiarire che il vero obbiettivo del gioco non è fare punti e costruire un modellino più attinente possibile all’originale bensì riflettere sulle dinamiche tra PO e DevTeam (cosa che ho fatto soltanto nella terza esperienza). Nei primi due casi è stato comunque interessante vedere come alcune persone lamentavano la non attinenza alla realtà in quanto nessuno poneva degli “Acceptance Criteria” così stringenti; mentre altri ammettevano che ciò poteva accadere e invece quello che mancava era l’analisi iniziale.
In entrambi i casi quindi all’aumentare dei vincoli veniva meno l’analisi e il coinvolgimento del Team.
Nella terza esperienza invece ho chiarito subito che non c’era un vincitore e la discussione si è subito spostata sull’aspetto di comunicazione: è stato notato fin da subito che nonostante i PO avessero chiaro “il cosa e il come fare” è molto, molto difficile realizzare esattamente il modello indipendentemente da quale modello di gestione si intenda seguire. La differenza sostanziale che si ottiene in un approccio Agile è invece la partecipazione, la motivazione, il minore stress e l’aspetto innovativo della realizzazione che pur assolvendo il valore di business da anche un forte tocco personale: ma questo forse lo sapevamo già!! :))
L’originale e tutte le spiegazioni del gioco posso essere trovare qui.
Public Speaking per Agile Speech
Condividere le proprie conoscenze e mettersi continuamente in discussione con gli altri è parte integrante della vita dell’Agile Practitioner, prima o dopo per tutti arriva l’occasione di confrontarsi con un pubblico che può condividere le vostre stesse passioni oppure è curioso di apprendere qualcosa per lui nuovo.
Vorrei rassicurarvi sul fatto che non siete soli a cui la sola idea di parlare in pubblico mette ansia, fa sudare le mani e secca la gola: questo capita a tutti, sopratutto le prime volte. Vi illustrerò nel corso di questo articolo alcune tecniche di public speaking che in poco tempo e con un po’ di pratica vi aiuteranno a trasformarvi in perfetti oratori.
Questa presentazione sarebbe già sufficente a evitare gli errori più comuni, nostante questo ha il grosso difetto di non essere così semplice da imitare, di seguito vi illustrerò alcune tecniche di NLP applicato al public speaking che vi permetteranno di essere veramente efficaci.
Gli artefatti
Chi dice di curare prima di tutto il contenuto e che l’importante è sempre e ad ogni costo essere sé stessi e ad ogni costo evidentemente non sa che il linguaggio verbale è solo il 7% dell’intera comunicazione: come l’Agile prevede di essere flessibili e resilenti in accordo al contesto, allo stesso modo anche la vostra immagine dovrà essere consona alla situazione e al tipo di audience che avrete.
Modificare dei comportamenti per rendere più efficace la comunicazione non significa alterare la personalità.
Il classico abbigliamento jeans scuri e camicia (da bosco e da riviera) vi consentirà quasi sempre di non apparire fuori luogo.
Settare l’ambiente
Può darsi che non vi capiti spesso di poter decidere la stanza, la disposizione delle sedie o la posizione della lavagna e del proiettore, comunque se ne avete l’occasione non lasciatevi sfuggire l’occasione di sfruttare anche questo prezioso vantaggio.
Rimuovete innanzitutto qualsiasi ostacolo che si interpone tra voi e la prima fila di sedie e accorciate le distanze quanto possibile con i partecipanti ma non troppo a ridosso in modo che vi permetta comunque un buon spazio dove vi potrete muovere parlando.
La disposizione delle sedie anch’essa dovrà essere funzionale al tipo di intervento che fare, se avete l’occasione di coinvolgere qualcuno nel vostro speech dovrete fare in modo di tenere sia un rapporto diretto con lui senza perdere il resto del pubblico: vi consiglio quindi una disposizione “ad anfiteatro” a gruppi di 4 mantenendo un buono spazio tra una fila e l’altro per fare in modo che il pubblico si possa alzare in piedi per fare le domande senza causare un senso di soffocamento o rischiare di sovrastare il resto dei partecipanti.
Lavagna o Immagine proiettata se possibile alla vostra sinistra in modo che gli occhi del pubblico utilizzi la parte creativa del loro emisfero celebrale costruendo cosi il ricordo sul futuro (leggi l’articolo sui LEM).
Non ultimo portatevi sempre il vostro portatile e tutto il necessario che vi sarà utile come pennarelli se utilizzare una lavagna o il vostro telecomando per cambiare le slides se utilizzate un proiettore.
La gestione delle slides
Le slide sono un ulteriore strumento a vostra disposizione che vi permette di rafforzare il concetti che volete comunicare non solo attraverso il canale verbale ma anche visivo.
Bisogna però fare molta attenzione a come si usano e si gestiscono: mostrare infatti slide che contengono concetti non ancora spiegati possono distogliere l’attenzione da voi e inoltre ricordiamoci sempre che il font deve essere leggibile dall’ultima fila.
Inoltre uno degli errori più comuni che si commettono trasmettendo immagini è che si finisca per girarsi di spalle e che si parli alla slides perdendo così il contatto con il pubblico.
Ulteriori informazione su come fare delle presentazioni da paura possono essere reperite qui.
L’importanza del come
Nonostante quello che si pensi, come già detto prima, il contenuto è l’ultima cosa che ha bisogno di essere rivista: primo perchè (a meno di Kamikaze) riguarda una disciplina con cui ci confrontiamo tutti i giorni in ogni occasione e quindi sappiamo bene di cosa stiamo parlando, secondo perchè è ampiamente dimostrato che il contenuto di un messaggio rappresenta soltanto il 7% dell’intera comunicazione.
Avete capito benissimo: senza mettere in dubbio l’importanza contenuto, quello che veramente fà la differenza nella vostra performance sta principalmente nella vostra comunicazione Paraverbale (tono di voce, ritmo…) e non Verbale (Gesti, Espressioni del volto..). Quindi il consiglio è di fare attenzione a come vi muovete e vi ponete davanti al vostro pubblico.
L’ingresso
Fate un bel respiro di pancia, immaginate già la standing ovation che ricevete alla fine e fate la vostra entrata a testa alta portando le vostre competenze e il meglio voi stessi. Sorriso panoramico, dare subito l’obbiettivo dello speech, in piedi al centro della sala, posizione equilibrata, spalle erette, mani lungo i fianchi, avvicinarsi al pubblico, volonta di integrazione, sicurezza.
Aprire con un benvenuto e un sentito ringraziamento a tutti partecipanti e poi ripete il titolo dello speech, quali sono gli obiettivi del vostro intervento, una breve overview e le regole del Gioco (durata dello speech, modalità di gestire eventuali domandi e comunicazioni di servizio se necessario).
Icebreking
Aprire con una domanda, una storia o un giro di tavolo stimolare la curiosità del pubblico e vi permette di entrare più facilmente in sintonia con la situazione dando il tempo anche a voi di prendere confidenza.
Il metodo 4MAT
Senza scendere troppo nei particolari (in caso vi consiglio la lettura del libro della ideatrice del metodo Bernice Mccarthy Teaching Around the 4mat Cycle) l’idea è quella di comunicare i vostri concetti chiavi in modo che possiate attrarre l’attenzione di tutto il vostro pubblico. Le persone infatti possono essere divise in 4 categorie:
- I “Perché”: Queste sono le persone che vogliono sapere da subito le motivazione e le ragioni dei vostri concetti.
- I “Cosa”: Queste sono le persone che vogliono sapere subito i concetti chiavi e tutti i riferimenti utili agli approfondimenti.
- I “Come”: Queste sono le persone che non si accontentano della teoria ma vogliono sperimentare e mettere in pratica fin da subito.
- I “E se”: Queste sono le persone creative, che amano mettersi in discussione e trovare nuovi modi per migliorare i tuoi concetti mettendoci la loro soggettività
Iniziare quindi il vostro speech spiegando di cosa volete parlate, il perché è importante parlarne, spiegando quindi come lo farete e sottolineando l’importanza della partecipazione del pubblico ad una eventuale discussione (e se avete dei dubbi.. se lo vorreste affrontare da un altro punto di vista…) fa si che abbiate fin da subito un’ apertura con il botto catturando magneticamente l’attenzione di tutti i partecipanti.
Siate Memorabili
Gianni Golfera ha notato che se racconto una situazione esagerando un elemento, mettendo poi la scena in movimento e associandola in modo usuale a qualcos’altro (magari con una metafora) che coinvolge la sfera emotiva si riesce a far si che il messaggio rimanga a lungo impresso nella memoria delle persone: il metodo EMAICE: Esagero, metto in Movimento, Associo in modo Inusuale con un Coinvolgimento Emotivo (trasmettere un’emozione associata all’informazione). Vi invito a leggere per un approfondimento questo articolo su EMAICE.
Lo schema del carisma KAV
E’ dalla PNL che ognuno di noi costruisce la propria rappresentazione del mondo utilizzando i tre canali sensoriali: K= Cinestesico, A=Auditivo, V=Visivo; quello che invece non tutti sanno è che studiando gli oratori più carismatici si può estrarre un modello e una sequenza specifica con cui questi sistemi rappresentazionali vengono utilizzare per incantare il pubblico: K cinestesico ->A auditivo ->V visivo.
Iniziando a parlare lentamente, con un tono di voce basso ed utilizzano lunghe pause emozioniamo e coinvolgiamo fin da subito le persone che in quella data situazione utilizzando principalmente il canale sensoriale cinestesico.
Subito dopo, parlando in modo armonioso con un ritmo sostenuto e magari utilizzando espressioni onomatopeiche e allitterazioni riusciamo a catturare l’attenzione degli auditivi.
Infine muovendo il proprio corpo e gesticolando consapevolmente disegnando nell’aria i concetti entraremmo in rapport con le persone visive.
Si ricomincia quindi il loop portando quindi i visivi ad associarsi con delle emozioni e cosi via:
K->A->V->K->A….in questo modo tutto il pubblico avrà l’impressione che si parli direttamente a lui/alla rappresentazione che sta vivendo in quel momento.
La gestualità
Si parte con le mani lungo i fianchi, mani libere, non fatevi condizionare dal controllo dei movimenti, siate spontanei (“be italian”)
Gli errori più comuni: Mani incrociate davanti o dietro, sui fianchi, toccarsi il corpo, pollici alla cintura.
Prossemica dello spazio, gestire la gerarchia dei valori: Passato, presente, futuro (Nested Loops) (il passato alla sinistra dell’audience). Per chiudere un argomento si modifica la prossemica.
Muovere le braccia verso: alto per trattare aspetti razionali, nel mezzo per esprimere fiducia e rapport e in basso per esprimere emozioni.
in caso di platea molto grande portare un piede in avanti per dare più tridimensionalità alla vostra figura.
Viso e testa all’altezza del pubblico, testa leggermente abbassata.
Utilizzare al meglio la voce
La voce è uno strumento a fiato e per poterla utilizzare al meglio ha bisogno di essere scaldata la voce, utilizzate quindi le seguenti vocalizzazioni prima di iniziare il vostro speech:
LA-LA-LA-LA, TA-TA-TA-TA, TLA-TLA-TLA-TLA. RRRR-RRRR-RRR-RRRR.
Fatto questo passa
evitare i ponti fonetici, utilizzare le pause come strumento comunicativo dando forza emotiva al messaggio e dando modo di controllare la sala, velocità di ascolto molto superiore alla velocità di emissione.
Passare la lingua sui denti
Far vibrare la voce prima contro i denti “n” e “m” e poi tappandosi il naso poggiando su una vocale dirigere la vibrazione verso il terzo occhio.
Con tutte le vocale partire con il tono basso, alzare il tono fino al vostro massimo e poi tornare in basso al tono iniziale. (Laura Spicer: x Spiker)
Centrarsi con il respiro: respirare con il diaframma tranquillizza.
Lo Humor
E’ Ok solo se: fà parte della nostra natura, è spontaneo, non è fuori contesto e non in apertura. Ricordatevi sempre che le persone vogliono cmq essere intrattenuto più che informate.
La chiusura
Come volete lasciare la vostra Audience? Qual’è lo stato emotivo che volete trasmettere a ogni partecipante?
Ripetete infine in punti chiave che sono stati toccati evidenziando gli obiettivi raggiunti e invitate il vostro pubblico a passare all’azione: alla fine di questo speech cosa faranno di nuovo i vostri partecipanti? Cosa smetteranno di fare? Cosa faranno di più? Cosa faranno di meno?
Ringraziate quindi i partecipanti gratificare il gruppo per l’interesse dimostrato e mentre applaudono applaudite anche voi in segno di reciproca gratiduine.
Domande ostili
Le domande “ostili” possono capitare a tutti e non sono un problema se siete capaci di gestirle con tranquillità: NON esordire con “Buona Domanda”, NON Contrastarle facendosi trascinare in una discussione MA Interruzione-Rinvio-Rimprovero e alla fine un sorriso.
L’importanza del Feedback
Il Public Speaking come ogni pratica richiede costanza ed esercizio, per aiutarvi nel vostro processo di miglioramente ogni feedback è ben accetto, per cui è importante sia filmarvi e rivedervi che ricevere opinioni dall’esterno; per aiutarvi a focalizzare l’attenzione sugli aspetti giusti della vostra performance potete chiedere di compilare questo schema.
Imparate dagli altri
Chiudo questo Post con uno dei Public Speaking più belli “L’ultima lezione di Randy Paush” che, a parte l’argomento toccante, è veramente uno degli speech tra prendere come esempio e da cui si può notare e imparare moltissimo.
Altri possono essere trovati su TED.
Shoots Wide Your Hassles
Shoots Wide Your Hassles è una attività che ha come scopo quello di evidenziare le aree di miglioramento affinchè il team raggiunga i propri obiettivi.
Una volta che il team ha fissato un obiettivo, la domanda più immediata è “Che cosa vi impedisce di raggiungerlo?”; spesso, sopratutto se è un team con poca esperienza, ne usciranno una serie di risposte disconnesse seguiti da lunghi silenzi.
Per dare una forma a questo brainstorming si chiede che per il prossimo incontro ogni membro elenchi su dei postIt 5 motivi che secondo lui gli impediscono di raggiungere l’obbiettivo (attenzione in questo caso si chiede i suoi impedimenti personali non quelli del team!).
All’incontro successivo, una volta collezionate queste risposte, si chiede un ulteriore confronto a piccoli gruppi per evidenziare ulteriori impedimenti (in questo caso di team).
A questo punto Shoots Wide Your Hassles segue un pò la forma di Known Issues: i postit verrano commentati all’intero gruppo e attaccati al muro, raggruppandoli in categorie.
Ora che i problemi sono stati messi in evidenza, si chiede ad ogni membro del gruppo di proporre delle soluzioni, scriverle su un postit di colore diverso da quello usato precedentemente ed attaccarlo sotto il problema in questione.
Infine si discute e si commenta il lavoro svolto per formalizzare dei piani di azione.
L’esercizio ha una doppia valenza: evidenziare le aree di miglioramento e proporre dei piani di azione da applicare nel breve tempo.
È fondamentale per la buona riuscita della retrospettive che la comunicazione non sia unidirezionale, esortando le persone a partecipare attivamente scrivendo loro stessi le proposte sui postit e organizzando da soli il muro dei postit, non limitandosi quindi al canale verbale e utilizzando nelle loro interazioni tutti i sistemi rappresantazionali (vista, udito, tatto..).
Da notare che non tutti gli impedimenti avranno una risposta e sopratutto ci saranno aree quasi totalmente scoperte (solitamente quelle che riguardano gli aspetti più legati ai rapporti e alle relazioni), nessuno problema: quelle saranno proprio le categorie sulle quali è necessario concentrarsi maggiormente negli incontri successivi.
Peer Endorsement Game
Il “Peer Endorsement Game” è una variante del classico “Peer Introduction Game” che può essere applicata come primo approccio per Team Building sia per gruppi appena formati che per team che lavorano insieme già da tempo e che hanno deciso di approcciarsi al mondo Agile.
Dopo un breve dialogo a coppie, persona raccomanderà agli altri il proprio compagno per entrare a far parte del team.
In dettaglio:
- Dividi il gruppo a coppie
- Chiedi alle coppie di avere una rapida conversazione in cui ogni membro racconterà all’altro quali sono i suoi punti forza. (2min)
- Le posizioni ora si invertono: la persona che prima aveva ascoltato racconterà quali sono i suoi punti di forza. (2min)
- Un persona alla volta raccomanderà il proprio compagno al resto del team. (1min a testa)
Vorrei raccomandarvi Vittorio perchè è un programmatore veramente competente, ha una esperienza quinquennale nel ruolo di…
Conoscevo già il “Peer Introduction Game” e lo avevo sperimentato con Pierluigi Pugliese all’interno del workshop “Servant? I’d rather be a host: it’s a much more interesting way of being a leader!“. L’attività in sè mi è sembrata molto efficace ed ho voluto replicarla alla prima occasione: la differenza nel mio caso era che il gruppo in cui mi trovavo per iniziare un nuovo percorso di coaching lavorava insieme già da tempo, per cui dovevo trovare un sistema affinchè non l’attività risultasse banale.
Ho quindi inventato il “Peer Endorsement Game” che potesse essere utilizzato anche per team già formati che lavoravano insieme già da tempo ma che comunque permettesse alle persone di divertirsi e di approfonodire la conoscenza dei propri compagni.
In effetti si ottiene fin da subito che le expertise più forti di ogni membro vengano immediatamente evidenziate o riscoperte, per cui il team può iniziare già ad avere una idea di come migliorare l’organizzazione del proprio lavoro per sfruttare al meglio queste caratteristiche.
Inoltre possiamo anche considerare che normalmente nella vita di tutti i giorni non siamo abituati a fare o a ricevere complimenti e questa attività, anche se la nostra parte razionale è consapevole che è un gioco, fa si che ogni persona comunque a livello neurologico si senta gratificata e accettata come membro del gruppo.
Una storia snella
Per comprendere al meglio questa filosofia ho pensato che sia fondamentale conoscere le origini di Lean, della produzione snella su cui il movimento Agile ha creato i suoi fondamenti.
La storia che mi accingo a raccontare inizia in un industria tessile giapponese negli anni ’40. Questa azienda faceva capo ad un uomo che per produrre i suoi tessuti senza difetti aveva inventato un sistema che rilevasse i difetti e bloccasse il telaio automaticamente in attesa che un addetto alla macchine risolvesse il problema.
Il nome di questo illuminato era Kiichiro Toyota e una volta venduto il brevetto del suo dispositivo di controllo decise di affontare una nuova sfida buttandosi nella produzione di automobili e decidendo di diventarne il leader in 3 anni.
In quegli anni le industrie americane facevano da padrone in tutto il mondo e la catena di montaggio di Ford era considerata lo standard.
Molte industrie automobilistiche giapponesi comprarono le costose attrezzature e provarono ad imitare il modello statunitense rendendosi ben presto conto che c’erano delle enormi differenze e difficilmente adattabile.
Il Mercato giapponese era un mercato chiuso in cui facilmente l’offerta superava la domanda e solo chi era capace di adattarsi differenziando le linea di produzione e garantendo un prodotto di qualita’ poteva sopravvivere.
Inoltre il modello T di Ford prevedeva che ogni catena di montaggio fosse specializzata nella produzione di un singolo pezzo che poi era assemblato nella stazione successiva e si pensava che per abbattere i costi di progettazione le varie macchine dovessero lavorare sempre a pieno regime per immettere sul mercato quante più automobile possibili.
Questo richiedeva l’utilizzo di grandi magazzini per lo stoccaggio dei pezzi, grandi costi di gestione e difficolta’ nel differenziare la produzione finche’ l’invenduto non era smaltito.
Se la produzione statunitense poteva permettersi di seguire l’illusorio mito del “se si produce prima o poi si vende” in Giappone questo modello era inapplicabile dove il mercato era piu’ ristretto, le esportazione più complicate e lo spazio per i magazzini era minore e molto piu’ costoso.
Kiichiro comprese fin da subito che per essere competivo doveva avere una produzione variegata e di qualita’, abbassare i costi riducendo gli sprechi e produrre solo quello che riusciva a vendere. L’obbiettivo era molto ambizioso e solo un ingegnere proveniente dal settore tessile si distinze in modo particolare raggiungendo degli eccellenti risultati Taiichi Ohno. Questo piccolo ingegnere decise che per produrre solo quello che si vende aveva bisogno di invertire completamente la logica della catena di montaggio: gli ordini di produzione non partivano a monte dalla sede centrale bensi’ a valle dai concessionari che vendevano le automobili prendendo esempio dalla logica dei super Market che rimpiazzano i prodotti sugli scaffali man mano che i clienti li portano via.
Questo sistema si chiamava Kanban e consisteva in un ordine di produzione che partiva dall’ultima stazione e risaliva la catena come un salmone chiedendo solo quello di cui avevano bisogno dalla stazione precedente. Nacque cosi il Toyota Production System, noto anche come Lean Production (produzione snella) e basato su logiche gestionali quali la produzione “Pull” e “Just in time”.
In pochi anni la Toyota diventò presto leader e un caso inspiegabile per i suoi competitor, ma questo fu’ solo l’inizio….