Storytelling (lifetelling) e brand reputation: Amaro Montenegro docet

Business Storytelling

Ogni azienda ha una storia da raccontare…
Lo storytelling  è un metodo vincente per comunicare efficacemente e rafforzare la percezione dell’identità aziendale nel cliente, attuale o potenziale, coinvolgendolo emotivamente.

In precedenti articoli abbiamo affrontato il tema dello storytelling ed evidenziato l’importanza che questo metodo di comunicazione assume per la brand reputation e la creazione dell’engagement con il cliente.

Il business storytelling, per quanto salito alla ribalta in tempi abbastanza recenti, in realtà, è qualcosa che alcune imprese conoscono e utilizzano da tempo.

Per alcune aziende, il cui brand è conosciuto e apprezzato in tutto il mondo, come ad esempio Ikea e Coca Cola o Red Bull, lo storytelling è il pane quotidiano. Nelle loro campagne di comunicazione hanno scelto dei punti sui quali focalizzarsi e intorno ad essi hanno lavorato creando spot pubblicitari capaci di coinvolgere il pubblico, rafforzando ulteriormente la loro già forte presenza sul mercato.

Senza andare lontano però, anche in Italia abbiamo case history di successo, tra cui l’esempio di Montenegro Srl, rinomata produttrice del noto Amaro Montenegro.

Azienda storica nata alla fine del 1800, dopo la grande guerra, ha ricominciato la sua ascesa per arrivare negli anni ’80 del secolo scorso ad affermarsi stabilmente sul mercato grazie alle sue campagne promozionali che hanno conquistato il cuore degli italiani, grazie ai messaggi di amicizia, solidarietà e spirito di gruppo veicolati nei suoi spot.

L’azienda, anziché focalizzare i suoi messaggi pubblicitari sul prodotto, lo ha contestualizzato in vicende umane in cui emergono sentimenti di amicizia e unione e, ad obiettivo raggiunto i protagonisti dello spot si concedevano in premio un buon Amaro…Montenegro.

Storytelling Banner

Il messaggio veicolato si è insinuato a tal punto nella mente del pubblico da far diventare il marchio noto anche al dilà della cerchia dei consumatori del prodottoe e talvolta oggetto di qualche di un po’ di bonaria ironia nelle situazioni complicate: ”questa è una sfida da Amaro Montenegro”. Per gente comune capace di compiere eroiche gesta, insomma. Proprio come negli spot.

Per il suo 130° compleanno, Amaro Montenegro, ha deciso di portare nei suoi spot ”eroi veri”, membri di associazioni no-profit che lottano ogni giorno per la protezione dell’ambiente, delle persone e degli animali.

Questo è stato il salto che ha permesso allo storytelling di evolversi e diventare un racconto di vita reale. Lo spot ha donato visibilità agli enti no-profit e mostrato il loro lavoro quotidiano e attraverso un meccanismo di condivisione sui social, le organizzazione si sono aggiudicate, in base ai voti ottenuti, il contributo di 130.000 euro donato da Amaro Montenegro.

Il caso di Amaro Montenegro ci fa capire che il mondo in continua evoluzione richiede cambiamenti anche nelle strategie aziendali. Lo storytelling seppur è stato e continua ad essere uno strumento efficace per l’engagement con il cliente e lo guida verso il nostro brand nelle sue scelte di acquisto, si è arrivati al punto in cui è necessario che diventi più concreto e aperto, sopratutto utili in altri meritevoli ambiti.

L’iniziativa di Montenegro ha avuto un successo doppio, rivelandosi un toccasana per le casse delle associazioni coinvolte, spesso troppo vuote, ma anche per il brand promotore, che ha saputo rafforzare i valori su cui da sempre fa leva, migliorando la relazione con i clienti e acquisendone di nuovi, creando un beneficio di lungo periodo.

Il (mancato) coraggio di innovare: il caso Kodak

innovare, macchina fotografica vecchio tipo Kodak

La flessibilità organizzativa è al servizio dell’innovazione, il mercato non perdona le aziende che non fanno proprio questo dogma. E’ necessario avere il coraggio di innovare.

 

”… E debbasi considerare come non è cosa più difficile a trattare, né più dubbia a riuscire, né più pericolosa a maneggiare, che farsi capo ad introdurre nuovi ordini. Perché lo introduttore ha per nimici tutti quelli che delli ordini vecchi fanno bene, et ha tepidi defensori tutti quelli che delli ordini nuovi farebbono bene. La quale tepidezza nasce, parte per paura delli avversari, che hanno le leggi dal canto loro, parte dalla incredulità delli uomini; li quali non credano in verità le cose nuove, se non ne veggono nata una ferma esperienza. Donde nasce che qualunque volta quelli che sono nimici hanno occasione di assaltare, lo fanno partigianamente, e quelli altri defendano tepidamente; in modo che insieme con loro si periclita.”  (N.Machiavelli)

Innovare fa paura. Stravolgere l’organizzazione esistente all’interno dell’azienda per lanciarsi in nuovi mercati è una sfida che non tutte le imprese si sentono di affrontare, purtroppo, però, per la vita delle aziende chiudere le porte in faccia all’innovazione significa fallimento. Solo l’innovazione, infatti, può garantire un vantaggio competitivo, duraturo nel tempo, e mantenere in vita  profittabilmente l’azienda.

Per innovare è necessario avere coraggio, il coraggio che è mancato a Kodak è stato l’inizio della fine per il colosso dei rullini. I bambini rullini kodak coraggio di innovaredegli anni ’80, ricorderanno il famoso ”ciribiribì kodak” dello spot televisivo che pubblicizzava i prodotti di punta, pellicole e carta fotografica, dell’azienda.

Kodak, un’azienda che da più di cent’anni lavorava nel mercato delle pellicole con un fatturato vertiginoso, era riuscita a rendere la fotografia alla portata di tutti, era entrata  nelle case e nei cuori dei propri clienti permettendogli di immortalare i loro momenti più belli. Kodak fu travolta dall’evoluzione tecnologica dell’era digitale, i vertici aziendali non furono in grado di riconoscere la portata del fenomeno e quando un progettista del proprio team propose il prototipo di una macchina fotografica digitale l’idea venne bocciata. La risposta di Kodak fu: “Chi vorrà mai guardare le sue foto sullo schermo di una tv?”.

Un grosso errore che le è costato l’uscita dal mercato con l’avvio dell’amministrazione controllata nel 2012. Kodak, il colosso della pellicola, si è dimostrata sorda all’innovazione, non ha ascoltato le idee dei propri collaboratori e si è chiusa in una ostinazione che l’ha portata al fallimento. Kodak non ha capito che il suo business era fatto di persone e non di pellicole…avrebbe potuto continuare a vivere come azienda e fatturare se solo avesse intuito che avrebbe tranquillamente potuto continuare a catturare le emozioni delle persone anche senza l’ausilio di un prodotto ormai superato.

 

Come evitare di commettere gli errori che sono stati fatali a Kodak?

  1. L’organizzazione aziendale deve assecondare l’idea innovativa, anticipare il mercato quando possibile, e l’ingegnere che propose il prodotto  a Kodak lo aveva fatto, era in netto anticipo rispetto alla concorrenza…
  2. Avere il coraggio di cambiare e combattere le opposizioni che puntualmente ci sono quando si cerca di innovare.
  3. Il Management non deve essere cieco e sordo alle proposte del team.
  4. L’organizzazione aziendale deve essere in grado di gestire la creatività e l’innovazione e di guardare a questo processo in merito a ritorni economici nel lungo periodo.
  5. Tenere sotto controllo la propria avversione al rischio, il noto detto recita ”chi non risica non rosica” …niente di più vero, sicuramente è necessario valutare il rischio e il costo-opportunità, senza rischiare però è impossibile innovare.

 

 

 

 

Una storia snella

Per comprendere al meglio questa filosofia ho pensato che sia fondamentale conoscere le origini di Lean, della produzione snella su cui il movimento Agile ha creato i suoi fondamenti.

La storia che mi accingo a raccontare inizia in un industria tessile giapponese negli anni ’40. Questa azienda faceva capo ad un uomo che per produrre i suoi tessuti senza difetti aveva inventato un sistema che rilevasse i difetti e bloccasse il telaio automaticamente in attesa che un addetto alla macchine risolvesse il problema.

Il nome di questo illuminato era Kiichiro Toyota e una volta venduto il brevetto del suo dispositivo di controllo decise di affontare una nuova sfida buttandosi nella produzione di automobili e decidendo di diventarne il leader in 3 anni.

In quegli anni le industrie americane facevano da padrone in tutto il mondo e la catena di montaggio di Ford era considerata lo standard.

Molte industrie automobilistiche giapponesi comprarono le costose attrezzature e provarono ad imitare il modello statunitense rendendosi ben presto conto che c’erano delle enormi differenze e difficilmente adattabile.

Il Mercato giapponese era un mercato chiuso in cui facilmente l’offerta superava la domanda e solo chi era capace di adattarsi differenziando le linea di produzione e garantendo un prodotto di qualita’ poteva sopravvivere.

Inoltre il modello T di Ford prevedeva che ogni catena di montaggio fosse specializzata nella produzione di un singolo pezzo che poi era assemblato nella stazione successiva e si pensava che per abbattere i costi di progettazione le varie macchine dovessero lavorare sempre a pieno regime per immettere sul mercato quante più automobile possibili.

Questo richiedeva l’utilizzo di grandi magazzini per lo stoccaggio dei pezzi, grandi costi di gestione e difficolta’ nel differenziare la produzione finche’ l’invenduto non era smaltito.

Se la produzione statunitense poteva permettersi di seguire l’illusorio mito del “se si produce prima o poi si vende” in Giappone questo modello era inapplicabile dove il mercato era piu’ ristretto, le esportazione più complicate e lo spazio per i magazzini era minore e molto piu’ costoso.

Kiichiro comprese fin da subito che per essere competivo doveva avere una produzione variegata e di qualita’, abbassare i costi riducendo gli sprechi e produrre solo quello che riusciva a vendere.  L’obbiettivo era molto ambizioso e solo un ingegnere proveniente dal settore  tessile si distinze in modo particolare raggiungendo degli eccellenti risultati Taiichi Ohno. Questo piccolo ingegnere decise che per produrre solo quello che si vende aveva bisogno di invertire completamente la logica della catena di montaggio: gli ordini di produzione non partivano a monte dalla sede centrale bensi’ a valle dai concessionari che vendevano le automobili prendendo esempio dalla logica dei super Market che rimpiazzano i prodotti sugli scaffali man mano che i clienti li portano via.

Questo sistema si chiamava Kanban e consisteva in un ordine di produzione che partiva dall’ultima stazione e risaliva la catena come un salmone chiedendo solo quello di cui avevano bisogno dalla stazione precedente. Nacque cosi il Toyota Production System, noto anche come Lean Production (produzione snella) e basato su logiche gestionali quali la produzione “Pull” e “Just in time”.

In pochi anni la Toyota diventò presto leader e un caso inspiegabile per i suoi competitor, ma questo fu’ solo l’inizio….