Work-life balance: perché è importante investire in questo modello

L’innovazione aziendale parte dall’interno, il benessere dei propri dipendenti è un elemento essenziale. Rendi eccellente la tua azienda con il work-life balance.

Con il termine work-life balance si indica l’equilibrio, spesso alquanto utopico in Italia, tra lavoro e vita privata.

Rispetto alle  altre nazioni europee e del resto del mondo, il nostro paese ha ancora molta strada da percorrere prima che i lavoratori italiani siano in grado di conciliare in modo appropriato carriera e ambizioni professionali con la propria vita  privata. Ai dipendenti, in un contesto come quello attuale caratterizzato da instabilità lavorativa ed economica, vengono richiesti sempre maggiori sacrifici. Lo sforzo richiesto ai dipendenti è da intendersi  sia in termini di numero di ore lavorate sia in termini di coinvolgimento cognitivo, per questo motivo i lavoratori si vedono spesso costretti a rinunciare alla propria vita privata in funzione del lavoro.

Si innesca un circolo vizioso nel quale sembra che non possano coesistere lavoro e famiglia per chi si affaccia al mondo del lavoro che, dopo aver investito anni in studi universitari e master di perfezionamento, alla soglia dei trent’anni, si trova  a dover scegliere tra carriera e vita privata. Attualmente il mondo del lavoro offre contratti a termine e aleatori ai lavoratori, richiedendo loro un alto grado di flessibilità, tutto ciò gli impedisce di fare progetti a medio-lungo termine ed è palese che in questo contesto per un giovane metter su famiglia diventa un’ardua sfida caratterizzata da un rischio notevole. Se per un lavoratore di sesso maschile la situazione è già di per se complicata, per le donne intorno ai trenta diventa quasi impossibile inserirsi nel mondo del lavoro o avere quella posizione stabile che la loro età richiederebbe. Lo spettro della maternità fa molta paura ai datori di lavoro e alle stesse lavoratrici che, purtroppo, sanno che si troveranno a scegliere tra il desiderio di maternità e il lavoro.

Nel 2016 il Parlamento europeo ha votato a Strasburgo  la risoluzione “Creating labour market conditions favourable for work-life balance” (Creazione di condizioni del mercato del lavoro favorevoli all’equilibrio tra vita privata e vita professionale). Il titolo della risoluzione è immediatamente intuitivo in merito a quelli che sono i contenuti, e se l’argomento è arrivato ad essere votato in commissione europea la sua rilevanza è evidente. Il parlamento europeo ha sancito che l’equilibrio tra lavoro e vita privata è un ”diritto” del lavoratore il che ne fa un dovere per le aziende. Fino all’anno scorso, per un’azienda investire nel work-life balance era un di più, oggi è quasi un atto dovuto.

I cambiamenti nei modelli di lavoro hanno segnato la linea di demarcazione tra aziende eccellenti e aziende non al passo con i tempi. Le prime hanno sviluppato diversi sistemi e programmi mirati alla cura dei propri dipendenti e per le loro famiglie mediante il welfare aziendale. Assicurazioni sanitarie, asili nido e altri servizi utili al lavoratore al fine di conciliare lavoro e vita privata.

Se il mondo del lavoro, nell’ottica del lavoratore, è caratterizzato da precarietà,  per l’azienda, invece, il problema è riuscire avere ad avere collaboratori validi. Lavorare in un’azienda che offre il welfare fa gola a molti, bravi e meno bravi, tra questi molti  ci sono anche ” le eccellenze” però… ed è bene non lasciarsele scappare. Il lavoratore molto qualificato è corteggiato dalle aziende  e offrire dei servizi a livello di welfare è sicuramente un incentivo affinché tra le varie proposte ricevute scelga proprio la tua azienda.

Dove è presente un modello ispirato al work-life balance, i dipendenti rendono di più, sono più sereni sul posto di lavoro e fuori dall’ufficio, più aperti al dialogo e alla collaborazione, di tutto ciò, di riflesso, ne trae beneficio anche l’impresa.

Inoltre, l’impresa che avvia un programma mirato al fine di garantire un’esistenza pacifica tra vita privata e lavoro, lancia un segnale anche all’esterno. L’impresa sta in pratica comunicando la sua solidità, l’accortezza verso i propri dipendenti e sta inoltre dimostrando di essere evoluta e innovativa, tutte cose che  fornitori e clienti apprezzano.

Dividi e comanda o unisci e vinci? Divide et impera nemico dell’innovazione

Innovazione, una scacchiera

Permetti alla tua azienda di lanciare segnali positivi all’esterno, coinvolgi i tuoi collaboratori nella gestione aziendale, valuta le loro idee in ottica innovazione

Dalle origini della storia dell’uomo, seminare zizzania è stata una tattica molto adoperata e vincente per ”dividere” i nemici, indebolirli, e riuscire così ad ottenere il comando. Se sul campo di battaglia, il divide et impera era una strategia che poteva funzionare la stessa cosa non si può dire per le imprese. I collaboratori in azienda non sono nemici ma giocatori di una stessa squadra con fini comuni, sono alleati necessari per raggiungere gli obiettivi aziendali.

La prima immagine che un’azienda da di sé è data, ad esempio, da come i dipendenti rispondono al telefono, da come accolgono i clienti all’ingresso, dalle relazioni tra management e subordinati e tra colleghi allo stesso livello. Per un cliente, un fornitore o un potenziale partner non è difficile leggere sul volto della forza lavoro dell’azienda se il clima è teso o, al contrario, rilassato e collaborativo. E’ facile percepire se il lavoratore svolge la sua funzione in modo apatico oppure con passione e interesse, ovviamente, nel primo caso l’azienda non fa una bella impressione e ispira anche poca fiducia.

Se capita poi, addirittura, di assistere a scene poco piacevoli, ad esempio confronti ”accesi” tra manager e collaboratori, l’immagine aziendale ne esce sconfitta. Pensiamo a quando capita di prendere un caffè al bar e sentire il titolare che tratta male il personale, quel bar, per quanto possa offrire un buon caffè, difficilmente ci vedrà ancora come suoi clienti.

Autorevoli sì, autoritari anche no

Manager e imprenditori, in quanto leader, devono liberarsi di schemi relazionali formali appresi e utilizzati per

consuetudine, divide et impera serve solo a ribadire il concetto del ”qui comando io”, inutile e, in parte, dannoso. Tali schemi focalizzano l’attenzione sull’autorità, in realtà un manager deve essere un mentore autorevole e non autoritario, puntare alla leadership, alla crescita e all’innovazione piuttosto che al mero controllo e al comando.

Il leader infatti deve essere una guida carismatica, un esempio per i propri collaboratori, accogliere idee ed essere giusto nel valutarle altrimenti se il clima è teso non ci si potrà mai evolvere. Il manager deve essere dotato oltre che di capacità professionali anche di intelligenza emotiva, deve saper parlare con la gente e non alla gente, captare segnali, idee e implementarle premiando chi le ha generate.

La strategia del divide et impera, all’insegna della repressione e della supremazia finisce col creare un clima di tensione. Il confronto non è costruttivo, infatti, l’obiettivo non è confrontarsi per realizzare la strategia migliore ma è semplicemente un gioco di ruoli, si mira a ”spuntarla”, a far prevalere la propria idea per una questione di orgoglio e non per la sua validità.

La competitività tra i membri non è salutare, è una lotta dove ognuno corre per se e non in un’ottica di sviluppo aziendale. Pertanto è auspicabile cercare, a partire dai vertici aziendali, di creare un clima in cui il confronto sia valido e funzionale agli interessi dell’intero sistema impresa e non del singolo collaboratore, ogni idea è importante e va valutata e se è valida va attuata. Solo così si può avviare un processo di innovazione, partendo dalle relazioni all’interno dell’organizzazione aziendale.

Innovation management: 3 domande da porsi prima del lancio del programma

Innovation mangement, lampadina accesa su piano di legno

Tre domande a cui dovrai saper rispondere per essere davvero pronto a innovare la tua azienda

L’innovazione non si improvvisa ma è il risultato di un processo sistematico che ingloba varie fasi: studio della situazione aziendale e conseguente strategia, monitoraggio e controllo. La prima cosa da fare è analizzare la propria realtà imprenditoriale mediante un approccio basato sulla condivisione, al fine di rendere più agevole la fase di adozione della strategia.

Dopo aver svolto un’attenta analisi, è fondamentale che la strategia risultante sia indirizzata a un progetto di ampio respiro che sia coerente con il contesto aziendale di riferimento e lo accompagni verso il cambiamento attraverso una transizione graduale.

Nel momento in cui si decide di lanciare un programma di Innovation Management è bene progettare un percorso allineato con gli obiettivi aziendali. In fase di progetto tutto sembra fattibile e raggiungibile con il minimo sforzo, ma a un certo momento in cui si parte davvero e tutto appare meno semplice.

innovation management

Spesso accade infatti che a programma iniziato, di fronte ai primi ostacoli o difficoltà, sorgano mille dubbi e domande, che magari, con un po’ più d’attenzione, potevano essere anticipate nella fase di analisi.

Per quanto un programma di innovation management non sia un qualcosa di irreversibile, come in ogni ”ristrutturazione”, tornare indietro comporta costi elevati, pertanto è bene che se ci sono questioni inevase o aspetti non chiare e definite emergano prima dell’avvio. Sicuramente, in corso d’opera, emergeranno comunque dubbi e incertezze che non si potevano prevedere o dei quali non si avvertiva la rilevanza fino alla manifestazione, ma per tutto il resto è bene giocare d’anticipo.


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1.Perché le persone in azienda dovrebbe accogliere di buon grado un processo di innovation management?

Esistono due tipologie di persone, quelle aperte al cambiamento, che lo cercano e ne sono entusiasti e poi ci sono le persone restie ai cambiamenti. Delle due categorie quella più ampia è sicuramente la seconda.

I cambiamenti spaventano e, di questi tempi, sentir parlare di innovazione a livello gestionale spaventa per timore che il processo innovativo possa portare a dei tagli di personale.

innovation management

Bisogna fare in modo pertanto che le persone colgano gli effetti positivi che ne deriverebbero e di cui ne godrebbe sicuramente l’azienda ma anche il singolo nelle relazioni e nella vita lavorativa di tutti i giorni.

Un processo di innovazione deve permettere l’affermarsi di nuove idee e le persone devono essere coscienti che solo attraverso un percorso di innovazione potrà realizzarsi e sentirsi un tutt’uno con la realtà aziendale.

2. Abbiamo dei fondi oppure le nostre tasche sono piene solo di sogni?

Un cambiamento non è mai a costo zero, in termini di tempo e denaro. E’ bene avere le idee ben chiare su cosa si vuole fare e come finanziare il progetto. Il budget deve essere definito e, se è possibile, è preferibile che risulti assegnato alle diverse aree coinvolte nel progetto in modo che, in linea con le proprie competenze, ogni area possa autogestirsi disponendo di maggiore specializzazione su problemi e soluzioni relative alla propria funzione aziendale.

3. Azioni e tempistiche sono state programmate in modo tale da non stravolgere l’attività aziendale?

Ogni piano d’azione che si rispetti prevede dei tempi di attuazione, questi devono essere definiti e coerenti con i ritmi dell’attività aziendale.  Mentre si ”ristruttura”, lo show deve comunque continuare, il lavoro va portato avanti.

Pian piano si introdurranno le nuove procedure e si testeranno efficacia ed efficienza. Il personale deve avere modo di adattarsi al cambiamento introdotto dal piano di innovation management in modo che sia anche più favorevolmente predisposto ad accogliere l’innovazione.

Business Model Canvas: come cambia la pianificazione strategica d’impresa

Business model, laptop con canvas sullo sfondo

Dalle origini dell’economia moderna abbiamo sempre sentito parlare di business plan, inteso quale documento di sintesi capace di definire sotto l’aspetto economico-finanziario il progetto imprenditoriale. Il termine business plan è ormai acquisito tant’è che ci suona familiare, da un po’ di tempo a questa  parte però  nei contesti aziendali si sente parlare sempre più spesso di business model. A questo punto, viene da chiedersi, si usano terminologie diverse per definire la stessa pratica aziendale dando al vecchio caro business plan un tocco di modernità oppure stiamo parlando di un qualcosa concettualmente diverso e differente anche sotto l’aspetto dell’attuazione?

Per rispondere a questa domanda, partiamo col definire cos’è un business model attraverso le parole dell’ideatore del Business Model Canvas , Alexander Osterwalder:

“Il Business Model descrive la logica con la quale un’organizzazione crea, distribuisce e cattura valore.”

Pur avendo elementi in comune e scopi parzialmente condivisi, notiamo subito che a differenza del business plan il business model si focalizza sulla creazione e distribuzione del valore aziendale, descrivendo l’attività aziendale svolta a tali fini attraverso un approccio logico e intuitivo. Attraverso il secondo un’azienda mostra il suo modo di fare impresa, la sua offerta produttiva e le relazioni che tesse con fornitori e clienti, con lo scopo ultimo di massimizzazione del valore.

Man mano che viene ampliata la  definizione di business model è palese che ci si allontana sempre di più dal termine business plan, quest’ultimo, in sostanza, evidenzia l’idea imprenditoriale, i tempi e le risorse finanziarie necessarie per realizzare il business model che invece si focalizza sulla pianificazione strategica. Il business plan  ”quantifica” la strategia esposta nel business model.

Definendo cos’è un business model, abbiamo introdotto e aggiunto anche il termine ”Canvas”. Il business model canvas non è altro che uno strumento strategico che si avvale di uno schema  grafico, molto utile per perferzionare il modello di business presente in azienda o svilupparne di nuovi.

Il business model canvas sfrutta la logica del visual thinking, permettendo di dipingere sulla tela concetti aziendali complessi rendendoli semplici attraverso l’ausilio grafico.


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Perché limitarsi al design dei prodotti quando applicandolo al business si riesce a presentare in modo facile e intuitivo la propria strategia aziendale. Del resto, anche gli architetti nella progettazione di una struttura prima di elaborarla in CAD partono da uno schizzo su carta. Avere uno schema visivo,  ordinato e funzionale,  permette una revisione veloce e il confronto immediato di idee con tutti gli attori del progetto.

Come è fatto un business model canvas

Il business model canvas si basa su nove blocchi visuali che sintetizzano tutti i punti chiave del processo strategico:

  1. Customer Segments, il target di clientela a cui l’impresa si rivolge;
  2. Value Proposition, la proposta di valore per ogni segmento;
  3. Channels, i canali per mezzo dei quali raggiungere il cliente;
  4. Customer Relationships, le relazioni che si instaurano con il cliente;
  5. Revenue Streams, i flussi di ricavi generati;
  6. Key Resources, le risorse chiave su cui far leva;
  7. Key Activities, le attività chiave per creare valore;
  8. Key Partners, i partners chiave di cui l’azienda intende avvalersi;
  9. Cost Structure, la struttura dei costi per i modello di business;

 

Avvalersi del Business Model Canvas è per l’impresa come un aggiornamento del sistema operativo è per un computer. Permette di essere più veloci ed efficienti stando al passo con l’innovazione,  proteggersi da nuove minacce provenienti dall’esterno, ad esempio nuovi competitors, individuare nuovi possibili clienti, canali per raggiungerli e aumentare le ”prestazioni” aziendali, ottenendo un maggior valore complessivo.

 

 

Agile Coaching: imparare ad affrontare la complessità

Agile Coaching, un metodo che “apre” l’impresa ai cambiamenti. L’agile coaching è un argomento che compare sempre più spesso in articoli, presentazioni, e discussioni tra professionisti, se ne scrive e se ne discute ma spesso, in realtà, molti hanno difficoltà nel comprenderne la reale essenza.


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In parole povere, l’agile coaching in che cosa consiste?

Per capire cosa tratta l’agile coaching, prendiamo ad esempio un qualcosa che tutti conosciamo e che soprattutto nel nostro paese è oggetto di culto: il calcio.

E’ ben noto il ruolo che l’allenatore della squadra ricopre e l’importanza che esso riveste, tant’è vero che, seppur molto importanti sono le capacità dei calciatori, chi guida la squadra ha un ruolo primario.

L’agile coach, riportato alla nostra realtà aziendale, è colui che aiuta e supporta l’azienda e il team di lavoro ad adottare e migliorare metodi e processi aziendali, permettendo all’impresa di ripensare il proprio modo di svilupparsi e aprendola al cambiamento. Un’impresa che mira a diventare agile deve cambiare la propria cultura e le abitudini del proprio team a tutti i livelli dell’organigramma aziendale. L’agile coach motiva la propria squadra e la sostiene nelle fasi di transizione adattando le metodologie in relazione al singolo contesto aziendale. Per questo motivo l’agile coaching si adatta bene sia alle grandi aziende che alle PMI che, del resto, costituiscono la quasi totalità del tessuto imprenditoriale italiano.

Il mondo del lavoro e il modo di fare impresa è cambiato, pertanto, rispetto al passato, più che sul ”cosa e quanto produrre” è importante il modo in cui lo si fa.

L’azienda è fatta di persone e parte integrante del lavoro dell’agile coach si fonda sulle relazioni aziendali, all’interno e all’esterno dell’azienda. Sotto l’aspetto della gestione delle persone presenti in azienda, in passato, il punto cruciale su cui si insisteva era la motivazione, motivare il proprio team.

L’idea della motivazione non è del tutto sbagliata, ma il mondo è in continua evoluzione, le persone cambiano e il contesto aziendale deve adattarsi al cambiamento, la migliore motivazione è rendere il proprio team partecipe e auto-organizzato. La motivazione deve essere attuata in modo tale da incentivare le persone attraverso il coinvolgimento, permettere al proprio team di sentirsi parte del sistema impresa. Affinché  le persone si sentano realmente partecipi devono riuscire a percepire che ciò che si sta creando lo si sta facendo insieme. Ben venga l’incentivo economico e/la promozione ma da soli non bastano se il team non è coeso e non si sente un tutt’uno con l’azienda.

L’agile coaching interviene a tutti i livelli aziendali, dalla produzione alla commercializzazione, andando ad agire su strategie e processi, oltre che, come si è visto, sull’area people operation.