Trucchi e consigli per tutti gli smart workers

Smart working sempre più diffuso anche in Italia, ma quali sono i trucchi per essere sempre al top?

Smart working o lavoro agile? Che preferiate il termine inglese o la traduzione in italiano, il contenuto rimane lo stesso, e si tratta di quella modalità di lavoro che porta molti benefici, sia al datore di lavoro sia al dipendente stesso. Lo smart working, o lavoro da remoto, con la possibilità di gestire orari e luogo di lavoro (casa, caffetteria o co-working) è sempre più diffuso anche qui in Italia, prendendo esempio da aziende oltreoceano di successo.

Lo smart working dunque si diffonde e viene finalmente riconosciuto anche dalla legislazione, che prende posizione e chiarisce quali sono i diritti e i doveri del lavoratore smart. Rimane però un quesito, quali sono i trucchi e i consigli per affrontare al meglio lo smart working? Cerchiamo di dare una risposta in questo breve articolo.

Prima di tutto cercate di conoscere bene la legge appunto. Ora che esiste una normativa per smart workers che compara i lavoratori agili ai dipendenti classici, con gli stessi diritti, informatevi e non fatevi sfuggire occasioni preziose. Se non lavorate per una sola azienda, ma gestite il vostro lavoro smart come freelance nessun problema. Esistono infatti coperture e sgravi fiscali anche per chi effettua il proprio impiego come ‘nomade digitale’. Dunque il primo consiglio è informatevi! Non solo per rimanere aggiornati e al passo con i tempi ma soprattutto per conoscere ciò che è nel vostro interesse.

Passiamo ora ai consigli tecnici. Uno smart worker ha bisogno dell’equipaggiamento giusto! E dunque partiamo subito con computer e smartphone. Vale la pena spendere qualche euro in più ma avere a vostra disposizione un buon prodotto, che possa sostenere il carico di lavoro che andrete a svolgere. Lo stesso discorso si può applicare a chi ha bisogno di programmi informatici o di grafica, gestionali o di editing: scegliete con cura, ne va del vostro lavoro. Al di là dei sistemi operativi e ai programmi, esistono ormai moltissime app create appositamente per chi lavora da remoto: comunicazione, gestione eventi e documenti, to-do-list e chi ne ha più ne metta. Scegliete quelle più indicate per il vostro lavoro e non fatevi fermare da nessuno.

Oltre a software a hardware avrete bisogno di un internet provider che vi assicuri una linea stabile e veloce. Scegliete dunque con cura il vostro servizio, valutate le diverse offerte. Per chi gestisce anche dati sensibili e pagamenti (compresi i freelance) affidatevi ad un sistema che protegge la vostra privacy per evitare attacchi informatici e leak di dati.

Oltre all’apparato tecnico giusto, rifornitevi anche dell’attitudine giusta! Lo smart working si basa sull’innovazione del sistema lavoro, sulla fiducia e sulle competenze. Dunque mostratevi dinamici, aperti, flessibili. Allo stesso tempo avrete modo di far rispettare i vostri diritti, di organizzare il vostro lavoro come preferite, di sentirvi a vostro agio mentre lavorate, senza pressione e senza preoccupazioni di dress code e simili. Gestite il vostro lavoro sfruttando le ore in cui vi sentite più produttivi. Lavorando a distanza, nella comodità di casa propria o del proprio studio, non sentendo la pressione del luogo di lavoro, evitando lo stress da pendolari (e così risparmiando soldi e inquinando meno), il lavoratore agile è più felice e dunque produce di più, rendendo felice anche il datore di lavoro. 

Di certo i benefici sono presenti da entrambe le parti. E sentiremo parlare sempre più spesso di smart working.

Employee Engagement: cos’è e perché è importante per la tua azienda

Employee Engagement

La percezione che il dipendente ha del proprio ruolo all’interno del team, ottenuta attraverso la definizione di obiettivi chiari e il rilascio di feedback regolari e costruttivi, incrementa la fiducia e l’impegno che il collaboratore infonde nello svolgimento del proprio lavoro.

L’employee engagement misura il coinvolgimento del dipendente nell’espletare il proprio lavoro. L’interesse che il lavoratore ha per la propria mansione e per l’azienda incide in modo diretto sulla sua capacità di contribuire alla realizzazione degli obiettivi aziendali.

Il coinvolgimento del dipendente aumenta in relazione alla percezione del proprio ruolo all’interno dell’impresa. Un dipendente che si sente parte dell’azienda in modo completo e attivo, riuscendo a comprenderne in pieno gli obiettivi risulterà più motivato e, a parità di competenza nella mansione, più produttivo ed efficiente rispetto a un dipendente che si sente ”estraneo” alla mission aziendale.  Oltre all’ambiente professionale in senso stretto, l’employee engagement è influenzato anche dal necessario equilibrio tra vita lavorativa e privata.

Riuscire a coinvolgere efficacemente i propri dipendenti migliora le loro performance il che si traduce in un beneficioEmployee Engagement qualitativo ed economico per l’impresa. Se il dipendente è soddisfatto della propria vita professionale e si sente ”legato” all’impresa in cui lavora tendenzialmente non cerca alternative lavorative esterne e ciò permette di diminuire il turn over che, come ben sappiamo, se è elevato non è un buon indice per l’impresa.

Employee Engagement: solo riflessi positivi, anche non scontati

Attivare politiche di employee engagement ha un riflesso positivo anche su aspetti che a un primo sguardo non sembrano essere direttamente collegati, ad esempio: la customer satisfaction, la capacità di innovare e l’adattabilità ai cambiamenti, oltre a un tasso di assenteismo molto basso.

Il lavoratore che si sente parte dell’impresa tratta il consumatore come un ”proprio” cliente e cerca di soddisfarlo in pieno e prevenire le sue necessità. In un clima lavorativo sereno l’innovazione sarà accolta di buon grado in quanto non ci sarà il timore di uno stravolgimento lavorativo e il cambiamento avverrà senza contrasti.

Per riuscire a coinvolgere il dipendente è necessario lavorare sulla trasparenza aziendale, fornire obiettivi chiari e non utopici, incrementare la comunicazione all’interno dell’impresa facendo comprendere pienamente la mission aziendale.

L’impresa deve inoltre garantire l’uguaglianza nel trattamento economico relativo alla figura professionale senza attuare differenze di genere. L’assenza di disparità nelle retribuzioni sembra un concetto assodato, purtroppo, in realtà, esiste ancora in tante imprese. Inoltre è necessario creare opportunità di formazione e definire uno schema chiaro sugli step da seguire per gli avanzamenti di carriera.

L’impresa, infine, deve essere in grado di creare un dialogo con i propri dipendenti, ascoltarli e permettere il confronto costruttivo, deve riuscire a comprendere le esigenze dei propri collaboratori e, nei limiti del possibile, essere disponibile a dimostrare, a sua volta, una certa flessibilità, caratteristica che sempre viene richiesta al lavoratore.

 

 

 

 

 

Open Innovation: come rendere competitiva la tua impresa

open innovation

L’innovazione digitale è fondamentale per sperimentare nuovi approcci e metodi operativi all’interno dell’azienda. In alcuni casi, per ottenere un vantaggio competitivo è importante che l’impresa apra le porte a contributi innovativi provenienti dall’esterno, ossia, alla cosiddetta open innovation.

L’open innovation rappresenta un modello innovativo da seguire per le imprese che vogliono accrescere il proprio valore ed essere competitive in mercati sempre più complessi e in continua evoluzione.

Per quanto valide possano essere le idee proposte dai collaboratori interni all’azienda, il personale interno rappresenta un insieme limitato. Per le imprese di nuova generazione è importante non precludersi la possibilità di attingere a competenze esterne.

In particolare, idee innovative e nuove tecnologie possono provenire da collaborazioni con startup innovative, studenti universitari e enti di ricerca, nonché da consulenti esterni di società di sviluppo software. Gli incubatori di impresa favoriscono la crescita aziendale sia attraverso concrete risorse innovative sia mediante la rete di contatti che si viene a creare.

open innovationL’open innovation produce molteplici effetti benefici sulle performance aziendali. Innanzitutto favorisce la riduzione dei costi e i tempi di attuazione legati all’avvio di progetti e processi innovativi.

Il mercato cambia velocemente e, spesso, a fronte di lunghi tempi per lo sviluppo innovativo l’effettivo utilizzo della tecnologia sviluppata risulta alquanto limitato dall’introduzione di nuovi strumenti tecnologici.

Grazie all’open innovation si possono sfruttare strumenti già in fase di sviluppo riducendo i costi e i tempi di realizzazione.

L’open innovation, inoltre, può rappresentare un nuovo settore in cui creare un business redditizio, nel quale l’impresa fa dell’intermediazione tra startup innovative e imprese tradizionali il proprio core business.

Ricorrere all’open innovation riduce notevolmente il rischio tecnologico e il rischio di mercato, entrambi presenti quando si sviluppa un’idea innovativa in un contesto complesso e mutevole come il mercato tecnologico attuale. I rischi sostenuti dall’impresa, in termini economici, saranno limitati all’investimento per acquisire o sfruttare le idee innovative e gli strumenti tecnologici sviluppati all’esterno.

Infine, tramite l’open innovation si avranno a disposizione tecnologie e innovazioni frutto di un’alta specializzazione, in diversi ambiti. Per ogni esigenza che l’impresa possa avvertire non ci sarà più bisogno di costituire un team interno apposito, formarlo e attendere il tempo di sviluppo del prodotto/processo quando quest’ultimo non attenga al core business aziendale. In sostanza, l’open innovation presenta gli stessi benefici che l’outsourcing apporta per i processi ”di contorno” all’attività caratteristica dell’impresa.

L’open innovation può essere attuata attraverso accordi tra aziende, mediante  hackathon open innovationl’acquisizione di startup innovative, costituendo partnership con centri di ricerca e business incubator o università.

Uno dei sistemi più interessanti degli ultimi tempi sono i cosiddetti hackathon. Si tratta di vere e proprie gare di programmazione e innovazione, in cui le imprese chiedono a gruppi di programmatori e innovatori di sviluppare soluzioni innovative e programmi in un tempo molto breve che va da 24 ore a una settimana.

 

I benefici dell’apprendimento cooperativo all’interno del team

team

Il sapere in passato era detenuto da pochi e utilizzato per raggiungere posizioni di potere all’interno della comunità . Oggi, in ambito aziendale i membri del team hanno tutti delle conoscenze e competenze valide, spesso però, tra i vai membri si innescano dei meccanismi di chiusura che danneggiano l’impresa. La soluzione è un approccio cooperativo all’interno del proprio team.

Sin dalla prima infanzia ai bambini viene insegnato ad essere altruisti e a collaborare con gli altri, da adolescenti si continua a mettere in pratica l’insegnamento facendo squadra, ma poi si approda all’università dove fa capolino la competizione, la voglia di distinguersi e spiccare. La sindrome del primo della classe, in un contesto universitario dove non ci si confronta più con venti allievi ma con aule di trecento persone, comincia a mostrare i suoi effetti che si enfatizzano poi nei colloqui di gruppo e sul posto di lavoro.

Anche all’università, attraverso i progetti,  e in alcuni particolari colloqui si invita lo studente/candidato ad approcciarsi in modo cooperativo con gli altri al fine di formarlo e prepararlo al mondo del lavoro e osservare il suo comportamento in gruppo. C’è chi riesce a lavorare bene apportando il proprio contributo e chi invece finge una collaborazione che in realtà boicotta attendendo il momento giusto per mettersi in mostra.

Lo stesso meccanismo tende a innescarsi in azienda. Quando i vertici premono troppo sulla competizione al fine di motivare i dipendenti finiscono con il favorire comportamenti opportunistici.

In realtà, spesso chi li attua difetta anche di competenza e teme per la propria posizione, altri invece pur essendo capaci e competenti temono che collaborare con gli altri non permetta di dare il giusto peso al contributo di ognuno e vi sia quindi impossibilità di vedersi riconosciuto il proprio valore.

Un caso che si verifica molto di frequente nelle imprese e che difficilmente viene segnalato in maniera ufficiale riguarda il rapporto tra tutor e stagista, se il tutor non si sente sufficientemente tutelato a livello contrattuale e nota nello stagista elevate competenze tenderà a boicottare il suo operato al fine limitare la sua affermazione temendo che l’allievo possa superare il maestro. Di conseguenza, l’azienda perde la possibilità di arricchire il proprio livello di competenze e ne vede minato il valore.

La conoscenza non è un bene che diminuisce il proprio valore se condiviso, in realtà dalla condivisione si ottiene esattamente l’opposto. Un approccio collaborativo e cooperativo all’interno del team permette di acquisire maggiori competenze direttamente sul campo e tra i vari membri che operano nel gruppo per il raggiungimento di un obiettivo aziendale comune.

La collaborazione è fondamentale per creare il clima giusto all’interno dell’impresa, lavorare insieme  apportando il proprio contributo specifico conoscendo però l’intero processo rende ogni membro attore protagonista e responsabile permettendogli di avere una visione di insieme che porta a  risultati migliori.

Non è sufficiente però la sola collaborazione, è necessario anche saper cooperare, a volte il caso richiede di operare in autonomia su alcuni processi volti a raggiungere fini comuni, non basta assolvere in modo competente il proprio ruolo se non si è capaci di integrare ogni apporto secondo il giusto incastro.

Due Diligence nelle startup: gli elementi chiave su cui si concentrano gli investitori

due diligence startup

La prima fase di vita di una startup è caratterizzata da ingenti investimenti e bassi utili che vengono solitamente reinvestiti nella società. In questa fase è vitale riuscire ad ottenere finanziamenti a tassi agevolati e attrarre investitori, che prima di compiere le loro scelte di investimento daranno avvio alla fase di due diligence.

E’ difficile però per un’azienda neonata, che opera in settori altamente tecnologici e volatili riuscire ad ottenere finanziamenti attraverso i canali bancari, inoltre, i capitali ottenuti sono in genere concessi a tassi molto elevati. Riuscire ad attrarre investitori privati e istituzionali è vitale per le startup.

Se una startup è riuscita a catturare l’interesse degli investitori è già a buon punto, significa che l’idea imprenditoriale appare ai loro occhi, vincente. A questo punto parte la fase di due diligence nella quale l’investitore andrà ad approfondire nel dettaglio i dati aziendali, gli elementi essenziali e il contesto in cui opera l’impresa.

Spesso però per una startup non sussistono grandi dati su cui effettuare le analisi, pertanto la due diligence si esplica osservand0 le potenzialità e altri aspetti quali il team, il mercato di riferimento, l’innovazione che è capace di apportare e di conseguenza la sua scalabilità.

Quali sono gli elementi su cui l’investitore si focalizza durante la due diligence?

  • Le persone

    Elemento portante di una startup  è sicuramente il suo team, e soprattutto gli imprenditori che hanno dato vita all’impresa. Nelle startup innovative la qualità del capitale umano è molto elevata in quanto per essere classificate come tali le startup devono avere un team altamente professionale composto da laureati magistrali e dottori di ricerca.

    Agli occhi degli investitori è importante trovare un elemento di differenziazione che possa farli propendere per un’impresa anziché per un’altra, questo elemento in genere si identifica nella vision e nella motivazione dei fondatori.

  • L’oggetto dell’attività d’impresa e il mercato

    Il prodotto servizio su cui la startup decide di incentrare la sua attività, essendo l’elemento grazie al quale l’impresa  genererà utili è uno dei punti chiave su cui concentrare le analisi.

    Il prodotto riesce a piazzarsi bene sul mercato? Come si colloca rispetto ai competitors? E’ un prodotto/servizio che non esiste ancora sulla piazza e nell’eventualità il mercato è pronto per accoglierlo? Sono tutte domande che guidano gli investitori nella loro analisi rischio/beneficio.

    Bisogna capire se ci sono potenzialità di crescita ossia se la startup sia scalabile. Il modello di business  scelto dall’impresa consente di valutare lo sviluppo raggiunto dalla startup utilizzando  come indicatore il suo tasso di crescita mensile valutando ad esempio numero differenziale di clienti acquisiti.

  • Strategie di exit

    Le startup reinvestendo la maggior parte degli utili nell’impresa lasciano poco guadagno agli investitori, che mantenendo l’investimento nel lungo periodo puntano ad ottenere il loro ritorno economico grazie al tasso di crescita dell’azienda.

    Considerata però la volatilità dei mercati  del contesto economico in cui si collocano le startup, non si può essere certi che effettivamente questa crescita ci sarà e qualora l’investitore voglia dismettere in tempo il proprio investimento deve poterlo fare.

    L’exit rappresenta l’unica alternativa per monetizzare il proprio investimento nell’immediato, vincoli troppo stringenti che impongono all’investitore di mantenere il proprio investimento lo spingono verso altri progetti aziendali.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lavoro Agile: la regolamentazione dello smart working

lavoro agile
Grazie ai benefici ottenibili attraverso il lavoro agile, di cui abbiamo parlato in un precedente articolo, sempre più aziende decidono di aprire le loro porte agli smart workers. Dal 2017 il lavoro agile gode di una propria regolamentazione.

Anche il legislatore ha dovuto prendere atto del fenomeno di ampia portata rappresentato dal lavoro agile. La sempre maggiore flessibilità richiesta ai lavoratori ha fatto nascere nuove modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, per le quali fino a maggio di quest’anno vi era un vuoto legislativo.

La legge 22/05/2017 n.81, dopo numerose navette tra Camera e Senato, è stata pubblicata sulla GU n.135 del 13 Giugno 2017. La legge, intitolata ”Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”, nel capo II articola il lavoro agile.

Con questa legge si va a colmare un vuoto legislativo che si cercava di riempire attingendo dalla normativa sul telelavoro nelle aziende pubbliche che, però, è ben differente dallo smart working, sia per caratteristiche intrinseche che per la tipologia di aziende per le quali è svolto, perlopiù private.

Innanzitutto viene definito lo smart working, come la forma lavorativa nella quale la prestazione agile può avvenire in parte presso i locali dell’azienda e in parte all’esterno, senza avvalersi dunque di una postazione fissa.

Lo smart worker, rispetto a chi effettua la prestazione mediante telelavoro può espletare la propria mansione dove meglio crede, dalla panchina del parco al divano di casa propria, rispettando ovviamente gli orari concordati con l’azienda e avvalendosi di idonei mezzi tecnologici di supporto.

L’articolo 18 della legge 81/2017 va a definire il concetto di lavoro agile come “modalità flessibile di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato allo scopo di incrementarne la produttività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.”

I punti salienti della legge riguardano l’equiparazione dello smart worker al dipendente che svolge il proprio lavoro all’interno dell’azienda, sia sotto il profilo economico sia sotto il quadro normativo relativo a diritti e doveri.

Fondamentale, a pena di nullità, è la stipula di un accordo scritto che individui le modalità di svolgimento del lavoro.

Lo smart working si sostanzia in una prestazione lavorativa di tipo subordinato che presenta le seguenti peculiarità:

  • Il lavoratore agile effettua la sua prestazione sia all’interno che all’esterno dei locali aziendali;
  • L’attività lavorativa viene spesso effettuata attraverso idonei strumenti tecnologici;
  • Il lavoratore non è vincolato ad una postazione fissa nei momenti in cui espleta la propria attività fuori dai locali dell’azienda.

Per quanto riguarda l’orario di lavoro, si è pensato che una regolamentazione stringente rischiasse di interferire con le caratteristiche del lavoro agile, che lasciano al lavoratore una certa autonomia di gestione con un fine di scopo e non di ore lavorate, d’altro canto il datore di lavoro non avrebbe modo di verificare l’effettiva durata della prestazione quando questa si svolga all’esterno dell’azienda. Alla fine però si è deciso di definire la giornata lavorativa dello smart worker così come quella del dipendente che lavora in sede, comprendente ossia le canoniche otto ore giornaliere.

 

 

 

Digital Transformation: quando il cambiamento è necessario

digital transformation, dipendente al lavoro da un device mobile

Innovare è necessario alla sopravvivenza dell’impresa, la digital transformation riguarda tutte le aziende e nessuna può esimersi dal realizzarla a meno che non voglia uscire dal mercato.

L’insieme di cambiamenti, prevalentemente di natura tecnologica, organizzativa, culturale e manageriale che l’azienda intraprende al fine di rimodellare la propria offerta e divenire più competitiva e vicina alle aspettative del mercato prende il nome di Digital Transformation o trasformazione digitale.

Il processo di digital transformation seppur avviato con lo sviluppo di nuove tecnologie e strumenti tecnologici non si limita al loro solo utilizzo, affinché il processo di cambiamento possa funzionare bisogna coinvolgere tutto il sistema aziendale, dando rilevanza alla condivisione e alla trasparenza in modo da includere, incentivandoli, tutti i collaboratori aziendali.

Il concetto di digital trasformation non riguarda soltanto un cambiamento ”fisico”, ad esempio come quello che avviene con la dematerializzazione, il cambiamento nell’era digitale coinvolge tutte le aree aziendali. L’approccio da attuare è finalizzato a cercare di far convergere flussi informativi e sistemi aziendali, informazioni vitali all’azienda che ogni giorno mediante le reti passano dal web.

La dematerializzazione si pone come obiettivo la semplificazione dei processi aziendali, aumentandone l’efficienza e riducendo al massimo le attività manuali. La digital transformation implica l’integrazione tra tutti i portatori di interessi dell’azienda in modo da poter lavorare meglio e in modo armonioso e sinergico.

I vantaggi che si possono ottenere da un processo di digital transformation sono molteplici, si possono raggiungere più alti livelli di efficienza, una migliore operatività e velocità a costi più contenuti, il tutto si riflette anche sui prodotti e servizi offerti che risultano pertanto migliori e a prezzi più competitivi.

Digital transformation: complessa ma indispensabile

Il processo di digital transformation, non è una missione impossibile ma neanche un gioco da ragazzi… è una priorità per le aziende e allo stesso tempo una grande sfida da affrontare per ogni realtà imprenditoriale.

Stiamo parlando di adottare misure volte al cambiamento dell’azienda al fine di realizzare la digital transformation, se da un lato è vero che l’azienda deve attivamente adottare questi cambiamenti a livello organizzativo e sotto l’aspetto dei processi, dall’altro, più che un ruolo attivo, le imprese sono trainate in questo processo di cambiamento  dalle persone.

Le imprese di oggi si trovano a dover soddisfare clienti sempre più informati ed esigenti. E’ l’utente finale che detta le regole, i clienti vogliono sempre una maggiore libertà di scelta di prodotti e servizi, e ciò costringe le aziende a dare il massimo al fine di fidelizzare il cliente. Con l’offerta presente oggi sul mercato, per un azienda non è affatto semplice affermarsi sul mercato.

Cambia anche il modo di fare pubblicità: è una società liquida che è sempre in movimento, un costoso messaggio pubblicitario passato in tv al giorno d’oggi viene visto da meno potenziali clienti rispetto ad altri canali quali ad esempio i social. Inoltre attraverso questi mezzi si riesce a lasciare un segno più profondo nella memoria dell’utente in quanto il messaggio pubblicitario è veicolato mediante gli stessi canali di condivisione dell’utente.

Al tempo dei social per i brand è diventato più che mai decisivo condividere informazioni utili e veritiere con la propria audience e mantenere aperto un dialogo con i propri clienti e prospect. La comunicazione insomma è bene che sia il più possibile bidirezionale e senza falle (i social non perdonano – ndr). Anzi lo sforzo deve essere quello di stimolare continuamente l’interazione e la partecipazione attiva degli utenti, mantenendonone alto l’interesse attraverso contenuti di qualità e mostrando trasparenza massima, combinazione che – è ormai pacifico – rappresenta il messaggio promozionale di gran lunga più convincente ed efficace.

 

 

Agile Coaching: imparare ad affrontare la complessità

Agile Coaching, un metodo che “apre” l’impresa ai cambiamenti. L’agile coaching è un argomento che compare sempre più spesso in articoli, presentazioni, e discussioni tra professionisti, se ne scrive e se ne discute ma spesso, in realtà, molti hanno difficoltà nel comprenderne la reale essenza.


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In parole povere, l’agile coaching in che cosa consiste?

Per capire cosa tratta l’agile coaching, prendiamo ad esempio un qualcosa che tutti conosciamo e che soprattutto nel nostro paese è oggetto di culto: il calcio.

E’ ben noto il ruolo che l’allenatore della squadra ricopre e l’importanza che esso riveste, tant’è vero che, seppur molto importanti sono le capacità dei calciatori, chi guida la squadra ha un ruolo primario.

L’agile coach, riportato alla nostra realtà aziendale, è colui che aiuta e supporta l’azienda e il team di lavoro ad adottare e migliorare metodi e processi aziendali, permettendo all’impresa di ripensare il proprio modo di svilupparsi e aprendola al cambiamento. Un’impresa che mira a diventare agile deve cambiare la propria cultura e le abitudini del proprio team a tutti i livelli dell’organigramma aziendale. L’agile coach motiva la propria squadra e la sostiene nelle fasi di transizione adattando le metodologie in relazione al singolo contesto aziendale. Per questo motivo l’agile coaching si adatta bene sia alle grandi aziende che alle PMI che, del resto, costituiscono la quasi totalità del tessuto imprenditoriale italiano.

Il mondo del lavoro e il modo di fare impresa è cambiato, pertanto, rispetto al passato, più che sul ”cosa e quanto produrre” è importante il modo in cui lo si fa.

L’azienda è fatta di persone e parte integrante del lavoro dell’agile coach si fonda sulle relazioni aziendali, all’interno e all’esterno dell’azienda. Sotto l’aspetto della gestione delle persone presenti in azienda, in passato, il punto cruciale su cui si insisteva era la motivazione, motivare il proprio team.

L’idea della motivazione non è del tutto sbagliata, ma il mondo è in continua evoluzione, le persone cambiano e il contesto aziendale deve adattarsi al cambiamento, la migliore motivazione è rendere il proprio team partecipe e auto-organizzato. La motivazione deve essere attuata in modo tale da incentivare le persone attraverso il coinvolgimento, permettere al proprio team di sentirsi parte del sistema impresa. Affinché  le persone si sentano realmente partecipi devono riuscire a percepire che ciò che si sta creando lo si sta facendo insieme. Ben venga l’incentivo economico e/la promozione ma da soli non bastano se il team non è coeso e non si sente un tutt’uno con l’azienda.

L’agile coaching interviene a tutti i livelli aziendali, dalla produzione alla commercializzazione, andando ad agire su strategie e processi, oltre che, come si è visto, sull’area people operation.