Public speaking: adottare le tecniche teatrali per migliorare le nostre performance

public speaking, spettacolo teatrale

Nel momento in cui capita di doversi confrontare con il public speaking spesso accade che la nostra performance non risulti ai livelli sperati. Nonostante il discorso sia stato studiato alla perfezione, nel momento in cui ci si trova il microfono davanti, l’ansia e l’essere impacciati…rischiano di rovinare la scena.

Riuscire a parlar bene in pubblico, infatti, è il risultato di un uso sapiente dei mezzi di comunicazione a nostra disposizione, la parola innanzitutto ma anche il linguaggio del corpo che potrebbe tradirci e rivelare le nostre incertezze. La soluzione? Ricorrere alle tecniche teatrali adottate dagli attori per acquisire sicurezza e una perfetta ”tenuta del palco”.

L’oratore condivide con l’attore il confronto con il pubblico, con il quale deve entrare in sintonia  e riuscire a catturarne l’attenzione facendo leva sul proprio carisma  e la propria personalità.

Pertanto, il training teatrale riesce a creare una sinergia tra mente e corpo e rende possibile trasmettere emozioni, grazie alle tecniche teatrali ci si mette in gioco e a ognuno è data la possibilità di scoprire nuovi aspetti della propria personalità, acquistando sicurezza e presenza scenica.

Il linguaggio verbale pur essendo il mezzo di comunicazione più utilizzato, in realtà, è in grado di catturare solo il 10% dell’attenzione e ridotta è anche la sua forza persuasiva. Il rimanente 90% è dato dal linguaggio del corpo, la mimica facciale, la forza dello sguardo, la gestualità, dicono molto di più delle semplici parole.

Corso di Public Speaking for Business

Quali sono le tecniche teatrali da sfruttare per migliorare le capacità di public speaking?

Innanzitutto è necessario imparare a gestire l’ansia e dominare le emozioni, anche la sola respirazione se attuata nel modo corretto può essere di grande aiuto per parlare in pubblico, infattì grazie alla respirazione diaframmatica è possibile gestire lo stress con notevoli benefici.

Respiro, voce  e postura hanno il loro peso in quanto a seconda della postura la voce può risultare tesa o rilassata.

Imparare le tecniche della respirazione è assolutamente utilissimo, così come la partecipazione e un laboratorio teatrale è utile per gestire l’imprevisto, imparare  a fare le prove e captare i segnali del pubblico.

C’è da dire che spesso l’apparire impacciati e timidi genera nel pubblico una sfiducia a priori e diventa difficile riuscire a dimostrare la valenza delle tesi che si sostengono nel discorso. Se da un lato apparire autentici gioca a favore dell’oratore dimostrare le proprie debolezze mina l’efficacia dell’eloquio. Pertanto, una delle tecniche usate nei laboratori teatrali e l’uso di una maschera neutra che azzera l’impatto della mimica facciale e permette di esprimere la propria espressività attraverso tutto il resto del corpo, così è più facile imparare a comunicare in modo autentico esprimendo emozioni e seguendo le sensazioni.

Lavorare in gruppo applicando le tecniche teatrali, permette di impersonare a momenti alterni il ruolo di osservatore e di osservato. Ciò permette di apprendere dagli altri migliorando la propria capacità di osservazione, non solo per quanto riguarda il gruppo di lavoro ma anche verso il proprio uditorio e regolare il tiro tenendo conto della reazione del proprio pubblico.

Rivedersi in un video permette all’oratore di rendersi conto dei punti critici del public speaking e quindi dal lavoro di gruppo ne deriva un beneficio per il singolo oratore, migliorando le performance con risultati esaltanti per la propria capacità di parlare in pubblico.

 

Business Storytelling: Racconto e identità

Storytelling e identità

Storytelling e identità

Al cuore del racconto d’impresa c’è l’identità. Si tratti del racconto costruito intorno a una specifica iniziativa o prodotto o all’azienda stessa, l’obiettivo principale di un simile racconto è trasmettere un’identità. Questa centralità deriva dal semplice fatto che stabilire un’identità consente di innescare meccanismi di coinvolgimento, confronto e costruzione di identità nei destinatari del racconto.

Un processo autonomo di autodefinizione

Per afferrare molte peculiarità e implicazioni di ciò che oggi indichiamo con l’espressione “storytelling d’impresa/Corporate storytelling” è utile notare che la costruzione di racconti attorno a marchi e persone è cosa antica. Nomi come Chanel, Ferrari, Lacoste e via elencando sono elementi/personaggi dell’immaginario diffuso e citarli evoca interi mondi, a loro volta composti di immagini e racconti, mondi ai quali noi stessi, in qualche modo e ognuno a proprio modo, abbiamo partecipato/partecipiamo. Il punto da afferrare che la definizione dell’identità tramite racconti in quei casi è stato un processo sviluppatosi nel tempo e basato sui risultati raggiunti. Forzando leggermente i termini, possiamo dire che siamo di fronte a identità definite dal riconoscimento altrui dell’eccellenza e della specificità attraverso accumulo ed elaborazione esterna, largamente incontrollata dal soggetto. E questo nonostante a posteriori, come dimostrano i tanti racconti sulle loro vicende, possedessero tutti gli elementi per generare autonomamente il racconto di sé.

Ecco allora la differenza con tanti casi moderni: i soggetti ormai cercano di costruire e trasmettere autonomamente la propria identità, in modo da conseguire due obiettivi importanti:

  • consentire il controllo sulla propria rappresentazione (interna o esterna a seconda dei casi);
  • utillizzare (il rispetto de) la propria identità come criterio di coerenza per le proprie iniziative e scelte.

La sfida del corporate storytelling

Detto in maniera grossolana, lo storytelling d’azienda nasce  come disciplina, dalla necessità di aziende e individui di gestire autonomamente (nei limiti del possibile, si intende) l’identità propria e delle proprie iniziative. Il suo affermarsi discende dalla presa d’atto che l’identità è un catalizzatore di legami, soprattutto emotivi, e che un’identità efficace, se prima costituiva un vantaggio competitivo, ormai è diventata una requisito minimo per l’efficacia di una proposta.
Si noti che, il concetto di identità di cui stiamo parlando non è una mera raccolta di specifiche o un insieme di dettagli materiali. Non è nemmeno la bontà/qualità tecnica di un prodotto. È un insieme di valori che, nel caso di un prodotto, guida ad esempio le scelte sulla filiera produttiva. L’identità non è scegliere una materia prima a bassa impronta ambientale per un capo di abbigliamento, ma l’insieme di valori la cui realizzazione comporta (necessariamente!) la scelta di una materia prima a bassa impronta ambientale.
Che si tratti di un’idea, di una linea di prodotti, di una visione aziendale o di se stessi, definire un’identità apre le porte al confronto, e quindi al coinvolgimento, spostando l’interazione da un mero rapporto strumentale (es.: utilizzo uno status-symbol per segnalare l’appartenenza a una comunità o classe sociale) a un rapporto di partecipazione (faccio una certa scelta perché condivido certi valori).
Il gioco si sposta quindi su un piano più astratto ma che coinvolge profondamente l’interlocutore, poiché gli chiede un investimento non più semplicemente economico, ma esistenziale.
E questo aspetto ha naturalmente anche rischi specifici per chi intenda costruire la propria identità, riassumibili nei concetti di trasparenza, consapevolezza e coerenza.

Costruire l’identità

L’identità è il risultato di un processo al quale lo storytelling partecipa non solo nella fase di condivisione ma anche di costruzione. Sebbene infatti sia importante mantenere distinti i due concetti (identità e racconto), quello che effettivamente si richiede come risultato di quel processo, nel contesto sopra delineato, è un racconto capace di trasmettere l’identità (dell’idea, del prodotto, dell’iniziativa, della persona, eccetera).
Il punto che però ci preme sottolineare è che la fase di elaborazione è fondamentale non solo in quanto funzionale alla definizione del racconto, ma perché mette alla prova proprio quell’identità che vogliamo condividere. Questo perché costruire il racconto impone di sviscerare gli elementi costitutivi dell’identità, sfidarne le specificità, il ruolo e l’importanza rispetto ai destinatari del racconto. Detto altrimenti: costringe non solo a chiarire che cosa per noi costituisce l’identità, ma come questa si colloca nel mondo dei destinatari del racconto. Un racconto (del tipo che qui consideriamo) non è mai un racconto “per tutti” e per lavorare efficacemente dobbiamo essere consapevoli del mondo dei destinatari. D’altra parte, l’incapacità di costruire un racconto valido indica spesso la debolezza non tanto del processo di (messa in) narrazione quanto dell’identità che intendiamo valorizzare.
In questo senso, quindi, lo storytelling è anche un formidabile strumento di validazione che consente di intercettare le debolezze di un’idea già nelle sue prime fasi, offrire spunti per i miglioramenti necessari e, in casi estremi, evitare lo spreco di risorse derivante dal continuare a lavorare a un’idea troppo debole.

In conclusione, abbiamo visto come lo storytelling sia uno strumento necessario alla condivisione dell’identità e la sua importanza come processo di validazione nelle fasi di definizione di un’idea.

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